Ha fatto la storia del basket italiano e non solo, facendosi apprezzare in ogniparte del mondo per la sua serietà e competenza in campo cestistico anchegrazie al suo simpatico modo di interagire con tutti. Dan Peterson rappresentala vera essenza della pallacanestro: lo dimostra la sua lunga carriera daallenatore, lo dicono i numerosi traguardi raggiunti. Il suo segreto è statoquello di fare attenzione alla cura dei particolari: per fare strada in questosport si devono consolidare quelle basi tecniche e morali sulle quali poicostruire, passo dopo passo, i successi futuri.
Ecco perché da oltre trent'anni il "nano ghiacciato" è unodegli head coach del Jam Camp, che da numerose estati fa il giro della penisolaitaliana e coinvolge migliaia e migliaia di campers. "Tutto ebbe inizio nel 1981, a SalsomaggioreTerme. In quel periodo – afferma coach Peterson – all'NBA Camp ho conosciutoDanilo e Roberto Milocco e Fabio Schisano, oggi validissimi istruttori eall'epoca miei giovani campers. Il loro merito è stato quello di allargare ilmovimento nel corso degli anni: in questo modo i ragazzi possono fare moltaesperienza, costruire nuove amicizie e confrontarsi con disparati punti divista. Un fatto questo – prosegue – che non si verifica nei Camp organizzatidalle singole società, che assomigliano invece a semplici ritiri".
Significativo un motto adottato da coach Peterson all'inizio di questa proficuaavventura: "Da Bolzano a Palermo, per far in modo che giungessero talenti daogni parte d'Italia. Durante la prima esperienza di Salsomaggiore – racconta - avevocome camper Nando Gentile; nella seconda settimana i due MVP scelti provenivanoappunto uno da Bolzano e uno da Palermo. Questa è la mia idea di Camp: avereragazzi da ciascuna regione italiana e di ogni tipo di estrazione cestistica".
Un concetto questo che si ricollega facilmente alla crisi recente dellanostra pallacanestro, in cui "ogni giocatore italiano è una sorta di piccolamultinazionale: ha un proprio addetto stampa e uno o più procuratori. Gliagenti hanno peggiorato decisamente la situazione, portando gli stipendi adaumenti considerevoli: di conseguenza – continua Peterson – le società italianepreferiscono ingaggiare giocatori stranieri di pari valore tecnico, ma ad undecimo del costo del cartellino".
La leggenda vivente del basket ripercorre connostalgia i suoi trascorsi in Italia: "Allora la parola "programmazione" avevaun senso – dichiara- io, Casalini, Boselli, Gallinari e D'Antoni siamo rimastiall'Olimpia Milano per 9 anni, Meneghin e Premier per 6. Abbiamo vinto tuttonon in un giorno, ma attraverso il sacrificio e l'impegno costante. Inoltre lamedia per squadra era di 8 giocatori italiani e 2 elementi stranieri, numericompletamente ribaltati al giorno d'oggi". L'ultima esperienza da allenatoredell'Olimpia Milano nel 2011 (semifinale persa contro Cantù, ndr) lo ha portatoad una considerazione fondamentale, che chiarisce i motivi del cambiamento nelbasket italiano: "Quando sono tornato all'Olimpia pensavo di trovare lo stessotipo di pallacanestro e uomini diversi, invece era esattamente il contrario".
Un pensiero finale coach Dan lo rivolge anche ai club italiani e alle Nazionalimaschile e femminile, "cui auguro di far bene ai prossimi Europei: sono la pruadella nave. I Gentile, i Melli, i Datome, gli Hackett: loro sono la miasperanza, loro possono riportare il basket italiano ad alti livelli".