Ogni tanto qualcuno rinnova la polemica sull'identità nazionale, questione spinosa soprattutto quando si parla di calcio. Roberto Mancini ha espresso perplessità sulle ultime convocazioni fatte da Antonio Conte in merito al doppio impegno della nazionale contro Bulgaria e Inghilterra. Sulla Gazzetta dello Sport, Gianni Valenti fa notare come il problema degli oriundi lasci il tempo che trova, soprattutto in relazione al fatto che a suscitare le polemiche sia l'allenatore di una squadra che da anni non brilla certo per l'impiego di giocatori che Gianni Brera collocherebbe nella pedata italica.

Sempre sulla "rosa" Sebastiano Vernazza narra la storia dei giocatori non nati sul suolo patrio che però hanno fatto la storia del nostro pallone, come Luisito Monti (l'uomo delle due finali mondiali, una persa con l'Argentina nel '30 e l'altra vinta con l'Italia nel '34) e dei flop storici come Altafini, Ghiggia, Schiaffino e Sivori. Sarebbe da sottolineare che nel 1934 alla vittoria del primo mondiale in casa, al potere c'era Mussolini, ancora non vigevano le leggi razziali ma già c'era diffidenza verso i "reimpatriati". E in nazionale ne presenziavano ben quattro.

Gli oriundi fanno rumore solo nel calcio: negli altri sport è quasi tutto lecito

Se si dovessero convocare solo atleti nati sul suolo italiano, probabilmente molte nostre compagini nazionali non sarebbero nemmeno degne di nota, come la nazionale italiana di rugby, la quale ha persino il capitano Sergio Parisse nato in Argentina, o giocatori che di italiano hanno solo l'eleggibilità di formazione.

Nel basket nessuno ha mai avuto troppo da ridire sulla naturalizzazione di Gregor Fucka o di Mike D'Antoni, così come in pochi hanno polemizzato soprattutto alla luce dei risultati, sull'italianità di Fiona May o Josefa Idem. Le dichiarazioni di Mancini dunque lasciano il tempo che trovano, e risultano buone per alimentare le chiacchiere da bar e i titoli sui giornali, perché i problemi del calcio, così come dello sport italiano, non stanno nel sangue dei convocati per le nazionali, ma nella formazione e nella serietà delle competizioni. Godiamoci dunque Vasquez ed Eder e speriamo diano un buon contributo alla causa. Il nostro sport ha bisogno di questo.