Una vita rovinata senza motivi. Questo il dramma di Fabio Taborre, il corridore fermato nello scorso luglio per un controllo positivo all’antidoping. Taborre si è lasciato andare ad un lungo sfogo su Repubblica, tra l’incredulità per l’esito del controllo ed un futuro che non sembra più avere sbocchi dopo la richiesta di 100.000 euro di risarcimento da parte della sua ex squadra.
Il caso Taborre
Fabio Taborre era tornato in questa stagione all' Androni, la squadra in cui aveva debuttato nel professionismo nel 2008. Una stagione in cui non ha raccolto nessun risultato di rilievo: nessuna piazza tra i primi 10 per lui che era abituato a salire sul podio con una certa continuità nelle semiclassiche italiane.
Una stagione anonima fino a luglio, quando Taborre è stato sospeso per la positività all' FG-4592, un prodotto vietato che stimola la produzione endogena di Epo. Per l' Androni si è trattato del secondo caso di doping dopo quello di Davide Appollonio, e per questo per la squadra piemontese è scattata una sospensione di un mese. Ma soprattutto è scattata per Taborre e Appollonio una salatissima penale di 100.000 euro, prevista dal regolamento interno alla squadra e sottoscritta da tutti i corridori presso un notaio.
L’ombra del sabotaggio
Per Taborre la positività è stata un fulmine a ciel sereno, posizione del resto non nuova per corridori fermati dall’antidoping. “Non posso spiegarlo, i miei valori di ematocrito ed emoglobina sono rimasti gli stessi.
Sento che ho sofferto un sabotaggio, ho saputo che questa sostanza è in polvere e si può sciogliere in un caffè. Non so davvero cosa pensare”, si difende Taborre.
Ma ad emergere è soprattutto la paura di quello che potrà succedere nel futuro, dopo la richiesta di risarcimento di 100.000 euro che è poi lievitata a 250.000 a causa di ulteriori danni per il mancato accordo con un nuovo sponsor e per il mese di stop imposto alla squadra. “Non ho questi soldi, correvo per 30.000 euro all’anno, il minimo” , spiega Taborre, che a marzo dovrà comparire in tribunale.