Ci sono persone che, con la sola energia del proprio temperamento, riescono a trascinare un universo umano riuscendo a far vibrare vorticosamente le corde delle emozioni della gente. Ancor di più ciò accade nello sport, dove il cuore è di casa e agita l’eccitazione che porta a seguire le gesta dei campioni senza “se”, senza “ma” e senza una spiegazione razionale o logica. È una spinta istintiva dettata dalla chimica della mente che agisce come una calamita sull’attenzione generale.

Fece innamorare del ciclismo chi non lo seguiva

Un maestro di questo comune sentimento è stato, senza ombra di dubbio, Marco Pantani che nasceva a Cesena esattamente il 13 gennaio del 1970.

Se fosse ancora in questo mondo, oggi avrebbe compiuto 47 anni ma, nonostante il tragico epilogo della sua vita, il ricordo delle sue imprese sportive nel Ciclismo non sarà mai scalfito dall’agire del tempo, né dai drammi e dalle polemiche infinite che ne hanno contraddistinto purtroppo buona parte dell’esistenza, a partire soprattutto da quanto accadde a Madonna di Campiglio il 5 giugno del 1999. Pantani, come lo sono stati Gilles Villeneuve e Ayrton Senna per la Formula 1, Cassius Clay nel Pugilato o Valentino Rossi nel Motociclismo, ha rappresentato quel tocco di esclusività che nello sport fa sempre la differenza per distinguere il bravo atleta dal campione assoluto. Un po’ come avviene nella vita di tutti i giorni quando, a pelle, il cervello riconosce la specialità dall’ordinarietà delle persone e degli eventi.

E a chi ha assistito alle competizioni ciclistiche degli anni Novanta magari accampato in un prato, sul ciglio di una strada di montagna o semplicemente in tv, Pantani ha fatto innamorare ed emozionare le folle per quel suo mix di talento, coraggio, eroismo e personalità fuori dagli schemi che lo hanno reso unico, per sempre.

Nello sport c’è un solo modo per capire se ci si trovi di fronte ad un fuoriclasse o ad uno fra tanti e si misura con il livello di attrazione che riesce a creare sullo sport che pratica. Quando gareggiava Pantani l’Italia si fermava, anche quella che fino a quel momento non aveva mai seguito il Ciclismo, per disinteresse o semplicemente per non essere la disciplina sportiva preferita.

Scalatore di professione

La conferma concreta di questa “teoria del campione” è stata la famosa tappa del Tour de France 1998 da Grenoble a Les Deux Alpes che lancio il “Pirata” alla conquista della gara più famosa al mondo. Quell’audace assalto di Pantani sul colle del Galibier a circa 50 chilometri dal traguardo, tra freddo, pioggia e nebbia, ha tenuto con il fiato sospeso l’Italia sportiva e non. Scalatore per dna, indiscusso re della montagna, il ciclista romagnolo è stato tra i pochissimi (sono in tutto sei Pantani escluso) ad aggiudicarsi l’accoppiata Giro d’Italia-Tour de France nello stesso anno, ovvero le classicissime del Ciclismo internazionale. Un talento puro, cristallino, suggellato da un commento del grande telecronista Adriano De Zan subito dopo il guizzo di Pantani sul Galibier al Tour del ’98: “Quando questo ragazzo scatta non c’è niente da fare, fa male!”.