Sono 618 le medaglie vinte dagli atleti italiani nella storia delle Olimpiadi estive. Il nostro paese è terzo, solo dietro a Svezia e Finlandia, per numero di partecipazioni olimpiche consecutive estive e invernali con almeno una medaglia portata a casa, 40, e ha partecipato a tutte le edizioni delle Olimpiadi disputate nell’era moderna ad eccezione di Atene 1896, la prima, e Saint Louis 1904.
Numeri che di per se bastano e avanzano a certificare una tradizione più che dignitosa e che fanno da apripista al dato più scintillante di tutti. Quello che brilla nel lucente riflesso delle 259 medaglie d’oro conquistate in totale (7° posto assoluto, 217 invece se si considerano solo i giochi olimpici estivi).
Per motivi di spazio non ci è possibile raccontarle tutte, noi ne abbiamo scelte 3, iconiche e immaginifiche abbastanza da essere entrate nella storia dell’Italia e del mondo, che possano fare da degne apripista alle ormai imminenti Olimpiadi di Parigi 2024: l’oro di Pietro Mennea nei 200 metri di Mosca 1980, l’oro di Yuri Chechi conquistato negli anelli ad Atlanta nel 1996 e l’oro di Marcell Jacobs nei 100 metri piani a Tokyo 2021.
Medaglie d’oro dell’Italia alle Olimpiadi: tantissimi i volti da copertina, da Pellegrini a Cammarelle
Prima di passarli in rassegna, una doverosa menzione spetta ad una serie di volti che hanno centrato degli ori altrettanto indimenticabili. Come non ricordare allora Carlo Molfetta, oro nel taekwondo a Londa 2012, Jessica Rossi, oro nel tiro a volo fossa donne a Londra 2012, la scorpacciata di ori vinti nel fioretto dalla squadra di donne sempre a Londra 2012.
E ancora, Pietro Cammarelle nel pugilato a Pechino 2008, Federica Pellegrini nel nuoto (200 m stile libero) a Pechino 2008, Giulia Quintavalle nel judo a Pechino 2008, Stefano Baldini nella maratona ad Atene 2004 e Igor Cassina nella ginnastica (sbarra) ad Atene 2004.
L’elenco sarebbe infinito: Josefa Idem nella canoa a Sydney 2000, Paola Pezzo nella mountain bike ad Atlanta 1996, l’epica finale della squadra di pallanuoto maschile che nel 1992 vinse la finale contro la Spagna padrona di casa 9 a 8 dopo 6 tempi supplementari.
Mosca 1980, il trionfo di Pietro Mennea
Record mondiale sui 200 metri con il tempo di 19’72 centrato a Città del Messico nel 1979 (battuto solo da Michael Johnson ad Atlanta il 23 giugno del 1996 con il tempo di 19’66), Pietro Mennea si presenta alle Olimpiadi di Mosca del 1980 con i galloni di favorito. E il peso lo sente tutto anche perché quella non è un’edizione come le altre.
Gli USA boicottano infatti i Giochi in segno di protesta per l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica chiedendo al resto dei paesi della Nato di fare lo stesso. Il governo presieduto allora da Francesco Cossiga annuncia dunque la rinuncia che però il Coni, in virtù della propria autonomia, decide di ‘impugnare’. L’Italia parte per Mosca dunque ma non in forma ufficiale. E con la delegazione c’è anche Pietro Mennea.
L’atleta originario di Barletta arriva in Russia in una forma fisica non ottimale, è considerato il candidato numero uno ad imporsi sia nei 100 che nei 200 metri perché è campione europeo iridato. Il coach Carlo Vittorio lo convince a gareggiare in entrambe le specialità e nonostante la sconfitta in semifinale è proprio la performance nei 100 metri ad offrire al corridore pugliese gli strumenti utili a calarsi dentro la manifestazione.
Il 28 giugno Mennea vince la semifinale e si qualifica per la gara che ne avrebbe cambiato la vita. Pettorina numero 433 e ottava corsia, quella più esterna, allo start Mennea parte bene ma dopo pochi passi è dietro al britannico Allan Wells. Quando inizia il rettilineo Menna è ancora ‘ufficialmente’ in ritardo ma è proprio in questo momento che la falcata della ‘Freccia del Sud’ diventa inarrestabile. Passo dopo passo, Mennea si mangia letteralmente il percorso davanti a lui e le chiude in 20"19. Il campione uscente Don Quarrie e il campione dei 100 m Allan Wells sono dietro di lui. Mennea vince l’oro olimpico ed entra nella storia. Per sempre.
La vittoria di Yuri Chechi ad Atlanta 1996
"Non ci possono essere sorprese: questo è un esercizio da oro": è quanta esclama il commentatore sportivo quando alle ore 6 del mattino italiane del 29 luglio 1996 il ginnasta Yuri Chechi ha appena terminato il proprio esercizio con gli anelli.
Un metro e 66 cm, l’atleta nato in Toscana a Prato regala una performance perfetta.
Un simposio di coordinazione, agilità, eleganza e forza che fanno subito capire come questa sarà la volta buona per Chechi, che atterrato in pedana, a volteggi terminati, non esita a mostrare un entusiasmo senza freni. Anche lui sa che il suo è stato un esercizio perfetto. Senza se e senza ma.
Alla fine la giuria gli assegna 9.887 come score. Chechi trionfa al Centennial Olympic Park e centra un successo che sa tanto di ciliegina sulla torta di una carriera straordinaria condita da 4 titoli europei e 5 titoli mondiali. Mancava il sigillo che solo quei 5 cerchi sanno magicamente apporre.
Marcell Jacobs a Tokyo 2021, la sua è una finale senza storia
Fin dalla partenza Jacobs è in testa e nessuno riesce a tenere il passo.
Alla fine Kerley (9''84) e De Grasse (9''89) devono accontentarsi dell’argento e del bronzo. Il massimo a cui potessero aspirare quel 6 marzo del 2021. A proposito, cinque minuti prima della corsa il nostro Gianmarco Tamberi aveva vinto l’oro ex aequo nel salto in alto insieme al qatariota Mutaz Essa Barshim. Un segno del destino per uno dei giorni più a tinte azzurre di sempre che la storia delle Olimpiadi ricorderà mai.