Tempi duri per i contribuenti, dalla Cgia di Mestre arriva un rapporto che certifica un paradosso fiscale tutto a scapito delle tasche dei cittadini. Infatti, nonostante nel 2015 sia stato deciso il blocco dell’aumento delle Tasse per gli enti locali, questo provvedimento ha sortito l’effetto opposto a quello che si prefiggeva facendo lievitare le tariffe dei servizi pubblici di Regioni ed enti locali del 5,6% in cinque anni, oltre il triplo rispetto alla crescita dell’inflazione.

La Cgia, che ha segnalato l’anomalia, ha preso in esame i tariffari amministrativi impiegati dai comuni per alcuni documenti come i certificati di nascita e di matrimonio e ha rilevato che, dal 2015 fino all’aprile del 2018, il costo per questi documenti è aumentato di quasi il 90%.

Stessa sorte per le tariffe adottate dalle società che gestiscono servizi come la fornitura dell’acqua, le mense per la scuola dell’infanzia, la raccolta dei rifiuti o il trasporto urbano, qui gli aumenti vanno dal 14 al 2 percento a fronte di un’inflazione che nello stesso periodo si è assestata al 1,7%.

Italia fanalino di coda europeo

La causa di questo fenomeno, secondo l’associazione veneta, è da ricercare nel blocco imposto all'aumento delle tasse locali dal governo Renzi nel 2015. Ciò avrebbe scatenato una ‘difesa’ da parte degli amministratori locali che, per poter rientrare delle mancate risorse, hanno rincarato le tariffe dei servizi locali a scapito di qualità e quantità degli stessi.

L’analisi della Cgia di Mestre è corroborata da un’indagine condotta l’anno scorso dall’Ue. Il risultato dello studio europeo pone l’Italia al 17° posto su 23 paesi dell’unione esaminati per livello qualitativo della pubblica amministrazione. Non va meglio se si prendono in esame le prestazioni regionali, qui la situazione infatti è ancora più drammatica.

Su 206 regioni esaminate tra le migliori 30 non ce n’è una che sia italiana, solo la provincia autonoma di Trento resiste a questa classifica impietosa collocandosi in 36ma posizione. Le regioni del mezzogiorno sono quelle che occupano le zone più basse, ben 7 si trovano negli ultimi 30 posti e le peggiori, Calabria e Campania, sono rispettivamente al 193° e al 202° posto battute solo da alcune realtà regionali di Turchia e Bulgaria.

Il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo pone l’accento su un aspetto subdolo della situazione, infatti i rincari decisi da Comuni e Regioni per tamponare le perdite non gravano sul carico fiscale generale. Afferma Zabeo a proposito di questi rialzi: "[...]a differenza degli aumenti delle tasse locali, non concorrono ad appesantire la nostra pressione fiscale, anche se in modo altrettanto fastidioso contribuiscono ad alleggerire i portafogli di tutti noi”.

Anche il segretario dell’associazione Renato Mason pone l'accento su un aspetto alquanto anomalo. Sebbene infatti i comuni non siano più legati ai vincoli di bilancio grazie alla messa da parte del patto di stabilità interno e abbiano aumentato le tariffe, i sindaci non possono ancora contare su risorse sufficienti a far riprendere gli investimenti e le manutenzioni pubbliche. Secondo Mason ciò rappresenta un punto cruciale perché, come ha ribadito, queste rappresentano misure indispensabili per ridare fiato sia all’economia locale che al mondo delle piccole imprese.