Per provare il reato di omessa dichiarazione Iva è sufficiente l'invio della comunicazione di irregolarità da parte dell'Agenzia delle Entrate ai contribuente - debitore. Questo in quanto, di regola, tale comunicazione è basata su controlli automatici effettuati dalla stessa amministrazione finanziaria. Questa, in estrema sintesi, è la conclusione a cui è giunta la III Sezione Penale della Corte di Cassazione nella Sentenza n° 38475/2019 depositata in Cancelleria lo scorso 17 settembre.

I fatti che hanno portato al giudizio della Corte

Il Supremo Collegio si è trovato a giudicare il ricorso presentato da un imprenditore marchigiano che sia in primo grado che in appello era stato condannato per il reato di omessa dichiarazione Iva per l'anno di imposta 2011 e consumato alla data del 27 dicembre 2012.

L'imprenditore avrebbe evaso la considerevole somma di più di 319.000 euro ed era stato condannato, in base al disposto dell'articolo 10 ter del Decreto legislativo 74/2000 a 5 mesi e 10 giorni di reclusione grazie anche alla concessione, da parte dei giudici di merito, delle circostanze attenuanti generiche.

Contro tale decisione il legale dell'imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione basandolo su due motivi fondamentali. Da una parte la violazione o la falsa applicazione degli articoli 102 e 178, comma 1, lettera c) del Codice di procedura penale. Infatti, il Tribunale di Macerata, in primo grado, non aveva accolto la richiesta di rinvio formulata da parte del difensore dell'imprenditore o la nomina di un sostituto perché il legale era stato vittima di un attacco cardiaco a giugno 2016.

Il Tribunale di Macerata non aveva accolto la richiesta in quanto riteneva che il legale avrebbe potuto prevedere tale eventualità in quanto nel mese di maggio 2016 aveva subito un intervento chirurgico al cuore. Il legale rappresenta che tra il secondo attacco cardiaco e l'udienza in cui dovevano essere assunti i mezzi di prova sarebbero trascorsi solo quattro giorni.

Tale periodo di tempo è stato ritenuto troppo breve dal difensore per poter trovare un sostituto. Di conseguenza, per il legale del ricorrente, tale violazione ha determinato la nullità dei primi due gradi di giudizio

Inoltre, con il secondo motivo di ricorso è stata sostenuta la violazione o la falsa applicazione dell'articolo 10 ter del Decreto legislativo n° 74/2000.

E questo in quanto la presentazione della dichiarazione annuale da parte del ricorrente sarebbe stata provata nonostante fosse del tutto assente dal fascicolo processuale. E questo anche se la sentenza impugnata ha dichiarato che la comunicazione di irregolarità da parte dell'Agenzia delle Entrate in base all'articolo 54-bis del DPR 633/1972 sia da considerarsi come un surrogato utile della dichiarazione annuale.

I motivi della decisione della Corte

Il Supremo Collegio ha ritenuto di dover rigettare il ricorso del contribuente. Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: "Il difensore impedito a causa di serie ragioni di salute o di altro evento non prevedibile o evitabile non ha l'onere di designare un sostituto processuale o indicare le ragioni dell'omessa nomina".

E questo, come precisano sempre le Sezioni Unite, "salvo che lo stato patologico sia prevedibile". Per le Sezioni Unite quindi "l'impedimento deve essere giustificato da circostanze improvvise e assolutamente imprevedibili". Per la Corte di Cassazione, quindi, un periodo di soli quattro giorni non può ritenersi incongruo per la nomina di un sostituto difensore che possa assicurare un'idonea difesa.

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, la Corte di Cassazione precisa che ai fini dell'accertamento del reato di cui all'articolo 10 ter del Decreto legislativo 74/2000 la legge non prevede l'acquisizione della dichiarazione fiscale o di qualunque altra prova legale. Per provare il reato è sufficiente che il giudice, al di là di ogni ragionevole dubbio, raggiunga la certezza circa la sussistenza della fattispecie.

Ovviamente tale certezza deve essere motivata adeguatamente. Nel caso di specie tale certezza è stata raggiunta in considerazione degli esiti del controllo automatizzato. E, in base al testo dell'articolo 54 bis del DPR 633/1972 è indubbio che l'accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate si basi sulla dichiarazione fiscale del contribuente. E nel caso specifico il contribuente non ha indicato delle circostanze specifiche che avrebbero potuto far dubitare del fatto che l'Agenzia delle Entrate non abbia controllato la sua dichiarazione fiscale. Anzi, nel processo di merito, il contribuente ha ammesso di non aver versato l'Iva. Di conseguenza, il ricorso è stato rigettato dal Supremo Collegio.