L'amministratore delegato di una Spa che si sia dimesso da tutte le cariche societarie anche dopo aver commesso il reato di falso in bilancio o false comunicazioni sociali non può essere assoggettato a misure cautelari limitative della libertà personale. Sono queste, in estrema sintesi, le conclusioni a cui è pervenuta la V Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione nella Sentenza 40499/2019 depositata in Cancelleria ieri 3 ottobre 2019

I fatti che hanno portato alla pronuncia della Corte

La Suprema Corte di Cassazione si è trovata a giudicare il ricorso di un ex amministratore delegato di una Spa era stato condannato dalla Corte d'Appello di Trieste alla misura cautelare relativa al divieto di esercitare funzioni direttive all'interno degli organi decisionali di persone giuridiche private o pubbliche.

Tale misura cautelare era stata ripristinata a seguito della richiesta del Pubblico Ministero dopo che il Giudice delle Udienze Preliminari aveva deciso di revocarla. E questo sulla base della possibilità di reiterazione del reato di false comunicazioni sociali e bancarotta preferenziale che il manager aveva commesso durante la gestione della Spa che era poi stata dichiarata fallita con sentenza del 29 gennaio 2018.

Il ricorrente contestava, innanzitutto, che la misura cautelare era stata ripristinata a distanza di un anno dal fallimento della Spa nei cui confronti erano state perpetrate le frodi. Per di più la misura cautelare era stata addebitata ad un soggetto persona fisica che risultava fino a quel momento incensurato.

Inoltre, la difesa del ricorrente evidenziava come per determinare la sussistenza dei gravi indizi relativamente alle false comunicazioni sociali la Corte d'Appello si sarebbe limitata a richiamare l'ordinanza che applicava in prima battuta la misura cautelare e a evidenziare il ruolo dell'imputato nei fatti senza tenere in dovuta considerazione i rilievi giustificativi delle varie appostazioni di bilancio formulati dalla difesa del ricorrente.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Suprema Corte ha accolto solo parzialmente le ragioni del contribuente. La Corte di Cassazione ha infatti ritenuto che la Corte d'Appello ha operato correttamente circa l'individuazione dei gravi indizi di reato per quanto riguarda le false comunicazioni in bilancio e la bancarotta preferenziale.

Infatti, la Corte territoriale richiamava correttamente quanto osservato nell'ordinanza originaria riguardo al presupposto indiziario. In tale ordinanza, infatti, veniva evidenziato che se si fosse provveduto, come sarebbe stato doveroso, all'iscrizione a bilancio delle passività derivanti dai vari contenziosi fiscali avrebbe evidenziato già almeno dal 2015 lo stato di decozione della Spa. Nello stesso tempo, il fatto che il ricorrente si fosse dimesso dalla carica di amministratore delegato nel 2017 non escludeva certo la sua responsabilità, anche perché era ancora presente nella compagine sociale come presidente del consiglio di amministrazione. Di conseguenza, per quanto riguarda questo primo punto il ricorso deve essere considerato inammissibile.

D'altra parte il Supremo Collegio ritiene fondato il ricorso del contribuente relativamente alla necessità dell'applicazione e della sussistenza delle misure cautelari. Per il giudice di legittimità la Corte territoriale ha errato ripristinando la valenza delle misure cautelari relativamente al divieto di esercitare funzioni direttive in organi di persone giuridiche in quanto il ricorrente si era dimesso dalla carica e quindi non vi sarebbe stato pericolo di reiterazione del reato. Non solo, ma la riproposizione della misura cautelare da parte della Corte territoriale era sostenuta da una scarna e generica motivazione. Di conseguenza la Cassazione ha annullato l'ordinanza impugnata e rinviato il tutto al tribunale di merito per un nuovo giudizio.