La Dichiarazione congiunta dei redditi, da oggi, rischia di rivelarsi un boomerang nei rapporti economici all'interno del matrimonio. La Quinta Sezione Civile della Corte di Cassazione, infatti, lo scorso 14 aprile 2020 ha depositato in Cancelleria la Sentenza n° 7803. In estrema sintesi, con tale pronuncia il Supremo Collegio ha stabilito che il principio di solidarietà anche economica tra i coniugi vale anche per i redditi da lavoro prodotti da uno dei due, indipendentemente dal fatto se il coniuge co-dichiarante abbia contribuito o meno alla produzione dei redditi oggetto dell'avviso di accertamento o della cartella di pagamento.

I fatti che hanno portato al giudizio della Corte

La Suprema Corte di Cassazione si è trovata davanti al ricorso presentato dalla moglie di un contribuente bresciano. La donna aveva ricevuto un avviso di accertamento dall'Agenzia delle Entrate e relativo alla dichiarazione congiunta dei redditi dei due coniugi per gli anni di imposta 1991 e 1992 presentata dal marito. In sede di giudizio di primo grado, davanti alla Commissione Tributaria Provinciale competente per territorio, era stata confermata la legittimità dell'avviso emesso dalla Pubblica Amministrazione finanziaria. A seguito di tali sentenze era stata emessa la relativa cartella di pagamento per un valore di oltre 3.100.000 euro. Di conseguenza, la donna, in qualità di co-dichiarante, impugnò la cartella di pagamento davanti alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Dichiarazione congiunta la decisione della CTR

In secondo grado, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha confermato la sentenza di primo grado, dichiarando infondate le ragioni della ricorrente, anche solo quale co-firmataria della dichiarazione congiunta. La motivazione della CTR della Lombardia affermava che doveva ritenersi infondata l'eccezione di nullità della cartella di pagamento sostenuta dalla ricorrente.

Infatti, l'Agenzia delle Entrate aveva correttamente operato notificando la cartella al marito, quale debitore principale, e alla ricorrente solo in qualità di coobbligata. In secondo luogo, non poteva sostenersi leso il diritto di difesa della ricorrente. L'eventuale lesione del diritto si sarebbe potuta eccepire in sede di giudizio d'impugnazione degli avvisi di accertamento.

Ma il giudice tributario d'appello ha fatto notare come tale pretesa lesione non poteva essere trasferita nel giudizio di secondo grado. Infatti, tale possibilità è preclusa da quanto disposto dall'articolo 19, comma 3, del DPR 546/1992 che ha introdotto nel nostro ordinamento fiscale il principio di impugnabilità degli atti esclusivamente per vizi propri. Infine, non poteva essere accolta l'interpretazione difensiva dell'articolo 17, quinto comma, della Legge n° 114 del 13 aprile 1977 che detta disposizioni modificative della disciplina dell'Irpef. La Commissione Tributaria Regionale, concordando con quanto sostenuto dalla Commissione Tributaria Provinciale, ha spiegato che la responsabilità solidale dei coniugi, nella dichiarazione congiunta dei redditi, non può intendersi limitata e deve estendersi anche alle maggiori imposte accertate in capo ad uno solo dei coniugi.

Contro tale decisione, la donna ha proposto ricorso davanti alla Suprema Corte di Cassazione.

I motivi della decisione della Cassazione

Il Supremo Collegio ha ritenuto infondato il ricorso contro la decisione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia. La Corte di Cassazione, infatti, si è trovata d'accordo con la lettura dei fatti e l'interpretazione giuridica degli stessi fatta dal giudice tributario di secondo grado. In particolare, i supremi giudici hanno fatto notare come, relativamente a quanto attiene la dichiarazione congiunta dei redditi dei coniugi, ha ribadito la piena facoltà dell'Agenzia delle Entrate di notificare una cartella di pagamento non solo al debitore principale, in questo caso il marito, ma anche alla moglie quale obbligata solidale con lo stesso.

Nello stesso senso, per la Cassazione, va confermato quanto deciso dalla CTR della Lombardia in merito alla permanenza del principio di solidarietà tra i coniugi anche in riferimento alle eventuali maggiori imposte accertate nei confronti di uno solo di essi.

Tale interpretazione, continua la Corte, è conforme ad un consolidato orientamento della stessa Quinta Sezione della Suprema Corte. A tale orientamento la Suprema Corte afferma di voler dare continuità. Di conseguenza, richiama quanto affermato dal testo dell'articolo 17 della Legge 114/1977 vigente al tempo della dichiarazione congiunta contestata. Tale norma, infatti, afferma che, in primo luogo, le somme dovute vanno iscritte a ruolo a nome del marito e, di conseguenza, la cartella di pagamento va notificata a quest'ultimo, mentre gli eventuali accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi i coniugi con notifica eseguita nei confronti del marito.

Non solo, ma la norma continua affermando che i coniugi sono responsabili in solido per il pagamento dell'imposta, oltre alle eventuali soprattasse, pene pecuniarie ed interessi iscritti a ruolo a nome del marito.

In pratica, secondo quanto afferma la Corte di Cassazione, con la presentazione della dichiarazione congiunta, i coniugi dichiaranti accettano anche i rischi inerenti alla disciplina propria dell'istituto e, specificamente, sia quelli inerenti alla previsione della notifica degli atti impositivi al solo marito, sia quelli concernenti le conseguenze - sostanziali e processuali - proprie delle obbligazioni solidali.

Quindi, per la Cassazione, da tale impostazione deriva che la responsabilità dei coniugi, che hanno presentato una dichiarazione congiunta, opera anche nel caso che il coniuge co-dichiarante sia estraneo alla produzione dei redditi del dichiarante. Anche nel caso che tali redditi siano derivati, addirittura, dalla commissione di un illecito penale. Per tali motivi la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.