Il prossimo primo ottobre potrebbe tenersi, nella Catalogna, un referendum per l’indipendenza e la conseguente “secessione” dallo stato spagnolo, in caso di vittoria dei “sì”. Il condizionale è d’obbligo perché il governo di madrid, guidato dal conservatore Mariano Rajoy, e la Corte costituzionale spagnola, considerano la consultazione incostituzionale e stanno agendo di conseguenza.

Su richiesta della procura, infatti, il 20 settembre scorso, la Guardia civil – i carabinieri spagnoli – è entrata negli edifici governativi regionali ed ha arrestato quattordici persone legate al governo locale che stavano prosegundo nelle operazioni di preparazione del referendum.

Contemporaneamente ha provveduto a sequestrare 1,3 milioni di volantini informativi sul voto. La reazione del governo della Catalogna guidato dall’indipendentista Puigdemont è stata durissima. Il leader locale si è rivolto direttamente al popolo « per difendere la democrazia da un regime repressivo e intimidatorio», cioè quello di Madrid.

Una regione industriale con capitale Barcellona

La Catalogna è una delle «comunità autonome» (Generalitat) riconosciute dalla Costituzione spagnola post franchista. Ha 7,5 milioni di abitanti e produce il 19% del Pil spagnolo. La lingua catalana è usata negli atti ufficiali e dai dipendenti pubblici. Si parla anche nelle isole Baleari, nel territorio di Andorra (dove è lingua ufficiale), nella regione francese di Perpignano e nella Comunità Valenciana, anche se quest’ultima rivendica una sua specificità linguistica.

La Generalitat ha un proprio governo e un Parlamento che legifera sulle materie non in contrasto con la Costituzione statale ma è priva di capacità impositiva: le tasse vanno a Madrid, che ne restituisce una parte all’amministrazione regionale. Una delle rivendicazioni più forti è infatti quella di poter gestire direttamente da Barcellona le risorse economiche; ciò, peraltro, potrebbe essere consentito non soltanto con l’indipendenza ma anche mediante altre forme di autonomia come quelle già vigenti nelle Province basche e, tutto sommato, anche nelle regioni italiane.

L’indipendentismo catalano

La crisi economica e quella dei partiti tradizionali, in questi ultimi anni, ha favorito l’aspirazione all’indipendentismo catalano. L’11 settembre 2012, una prima grande manifestazione indipendentista, si aprì con lo striscione “Catalogna, nuovo stato d’Europa” ma, da allora, i negoziati tra le due parti – per non parlare di quelli per un eventuale ammissione alla UE – sono stati pressoché inesistenti, con il risultato dell'attuale situazione di muro contro muro.

Nel 2014 il governo catalano organizzò una prima consultazione sull’indipendenza, detta “non referendaria” per evitare complicazioni di carattere costituzionale; il «sì» ottenne l’80% dei voti, ma l’affluenza non superò il 35%. Poi, l’anno scorso, fu eletto presidente Puigdemont che, in giugno, fece approvare dal Parlamento locale un nuovo referendum «vincolante e senza quorum» per il prossimo 1° ottobre. Il quesito, oltre all’indipendenza, prevede anche l’istituzione della forma repubblicana: un distacco, quindi, deciso, che non lascia spazio - almeno per ora - a soluzioni di associazione del tipo del Commonwealth britannico.

La Corte costituzionale spagnola ha, quindi, bloccato tutto, per incompatibilità con la norma fondamentale, secondo cui «la Spagna è una e indivisibile».

La Carta costituzionale, infatti, non prevede né referendum, né altre forme di autodeterminazione. La consultazione, quindi, secondo Madrid, non si dovrebbe tenere.

Un referendum senza quorum potrebbe far prevalere la volontà di una minoranza

La legge che indice il referendum non stabilisce né il livello minimo di partecipazione alla consultazione, né la maggioranza necessaria per decretarne il risultato. Ciò non rispetterebbe le condizioni stabilite dal Consiglio d’Europa – di cui la Spagna fa parte - per le questioni relative alla democrazia o all’imparzialità delle istituzioni. Anche per quanto riguarda il calendario che, secondo Strasburgo – doveva prevedere almeno un anno tra la convocazione e l’espletamento del referendum.

Su tali punti si è espresso anche il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker che è stato chiaro: una Catalogna indipendente è fuori dall’Europa.

E' notizia di poche ore fa che il premier Mariano rajoy ha teso una mano al governo di Barcellona, dichiarandosi disposto al dialogo ma solo a condizione che si mettano da parte referendum e ogni altra aspirazione indipendentista. A questo punto, cosa succederà il 1° ottobre e nei giorni successivi sembra un vero e proprio rebus.