Nel 1985, le Nazioni Unite hanno utilizzato l'espressione "rifugiato ambientale" per descrivere "Una persona sfollata per cause ambientali, in particolare degrado ambientale”. Trentaquattro anni dopo, non ci sono ancora dati chiari su quello che potrebbe essere il numero di persone costrette a lasciare il proprio paese per sopravvivere, come non è chiaro, a livello giuridico, quale diritto sia da attribuire all'individuo che chiede asilo ad altri paesi a causa dei disastri ambientali.
Il 15 marzo è stato proclamato lo sciopero per il clima che vede protagonisti i giovani di ogni parte del mondo, ispirati dalla giovane studentessa Greta Thunberg, ideatrice del movimento di protesta #fridayforfuture, che ad agosto 2018 ha iniziato a protestare davanti al Parlamento svedese contro l'indifferenza dei governi nei confronti dei cambiamenti climatici.
Il movimento in pochi mesi ha acquisito una fama mondiale, tanto da convincere numerosi scienziati a parteciparvi. Numerose sono le conseguenze del mancato rispetto dell'Ambiente ma una in particolare dovrebbe allarmare i leader mondiali: l'immigrazione e il suo attore protagonista, il migrante climatico.
Cosa dobbiamo aspettarci
Uno studio effettuato dalla Banca Mondiale su tre macro aree come l'Africa subsahariana, l'Asia meridionale e l'America latina, le quali rappresentano il 55% della popolazione dei paesi in via di sviluppo, stima che oltre 140 milioni di persone saranno costrette a spostarsi entro il 2050. Questo perché lo scioglimento dei ghiacciai e il conseguente innalzamento del livello del mare renderanno sempre più difficile procurarsi acqua e cibo.
Tenendo in considerazione le tre aree sopra indicate, la Banca Mondiale pone un accento sulle migrazioni interne. 86 milioni di persone si sposteranno in Africa, 40 milioni in Asia del Sud, 17 milioni in America Latina. Questi movimenti provocheranno gravi squilibri, accentuando le disuguaglianze già esistenti e minando i sistemi politici.
La direttrice della Banca Mondiale, Kristalina Georgieva, parla di "population shock" ovvero un fenomeno che vedrà lo spopolamento delle aree rurali e un'eccessiva pressione su quelle urbane, con il rischio di far andare in crisi le strutture economiche e politiche dei paesi ospitanti.
Il tutto sarà peggiorato da un sensibile aumento della popolazione.
Secondo le più recenti stime, l'Onu prevede che nell'anno 2030 sul nostro pianeta ci saranno circa 8,5 miliardi di abitanti. La popolazione continuerà a crescere raggiungendo 9,7 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi nel 2100. Un'altro studio è quello pubblicato dall'OIM, l'Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, le quali previsioni future variano da 25 milioni a 1 miliardo di migranti ambientali entro il 2050.
L'immigrazione causata dal clima aumenterà le possibilità di conflitto
I cambiamenti climatici porteranno ad un aumento delle temperature, che arriveranno a sciogliere completamente i ghiacciai, aumentando il livello del mare, causando catastrofi naturali e siccità, che porteranno all'aumento e diffusione di malattie dovute alla mancanza di acqua potabile e cibo.
Gli spostamenti sempre più frequenti causeranno il sovraffollamento di alcune aree che dovranno strutturare, in modo completamente diverso, la distribuzione delle risorse che cominceranno a scarseggiare. Questa situazione porterà tensione economica e Politica che potrà sfociare facilmente in conflitti per l'appropriazione di risorse.
In alcune aree questo è già realtà: i dati degli sbarchi fino al 3 marzo del 2019, in Italia, mostrano che su 262 migranti, 57 provengono dal Bangladesh, paese dove non è in corso nessun conflitto, rispetto ad altre zone come la Siria, ma la popolazione paga ancora le conseguenze dei monsoni del 2017, venti ciclici, caldi, tipici dell'Oceano Indiano. Un altro caso è quello del Corno d'Africa, dove nel 2018, la diminuzione evidente delle terre produttive e del bestiame dovuta ai cicloni, alle inondazioni e alla siccità, insieme a conflitti militari ha causato un sfollamento di circa 2.6 milioni di persone.
Il collegamento tra migrazione e ambiente sembra ormai evidente: risolvere il problema ambientale significherebbe diminuire i flussi migratori. Di conseguenza, piuttosto che "Aiutarli a casa loro", bisognerebbe muoversi a casa propria finchè c'è ancora un'opportunità di regressione: gli scienziati affermano che con azioni globali, per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, l'impatto ambientale potrebbe ridursi dell’80%.