Il grande campione compie 50 anni, mezzo secolo. Il tempo vola e nei nostri ricordi può essere scandito anche dai "fantasisti del pallone". Fantasisti a dir poco, qui parliamo di artisti. Un fantasista non si crede uguale agli altri, non sempre rientra a proteggere, lui con la mente vola, ed è così amato dai tifosi, perché l'artista gioca per stupire, accarezza il pallone con tocchi di classe, con goal incredibili, l'artista pennella e beffa.

Lo chiamavano "Chine"

roberto Baggio quando era piccolo, lo chiamavano "Chine", ma non c'entra niente con la nuova frontiera stramilionaria del pallone.

A Caldogno dicevano che Roberto somigliava ad un certo "Chinesinho", un centrocampista brasiliano che concluse la carriera nella vicina Vicenza, dopo aver vinto lo scudetto con la Juve proprio nel '67, l'anno di nascita di Roby. In verità Baggio non assomigliava a Chinesinho, che costruiva gioco e segnava raramente, ma alla gente bastava fiutare la classe, per riconoscere un campione a prescindere dalle caratteristiche e ruolo.

Baggio ha giocato in tante squadre, Vicenza Fiorentina, Juve, Inter, Milan, Bologna, Brescia e Italia. Un fuoriclasse che però non è stato mai uomo-bandiera, troppo introverso, indeciso, troppo sensibile tanto da giocare in una squadra e sentirsi ancora di un'altra. Non come un professionista, un po' con il cuore, come quella volta che non tirò un rigore per la Juventus, quando affrontò per la prima volta, da avversaria, la Fiorentina.

Disse che il portiere lo conosceva troppo bene e che poteva parargli il rigore. Poi raccolse una sciarpa viola salutando i suoi ex tifosi che lo fischiavano. Quei tifosi ricordavano ancora le sue magie in attacco insieme a Stefano Borgonovo, in particolare con il Milan a San Siro, finita 2 a 0 per la Fiorentina, con una sua prodezza, un acuto nel teatro più famoso del calcio italiano.

Baggio passo alla Juventus dopo i mondiali del '90, quelli di Schillaci, di Maradona. Baggio fece uno dei goal più della storia del calcio contro la Cecoslovacchia da rimanere a bocca aperta, simile a quello di Maradona contro l'Inghilterra. La Juve era quella di Maifredi che sognava il calcio champagne, ma non trovò l'occasione di un brindisi.

Poi arrivarono le soddisfazioni con Trapattoni e Lippi e ritornarono gli anni dello scudetto. Baggio a Torino ha attraversato un periodo di transizione, segnando 78 goal, 10 più di Platini con qualche partita in meno. Ma Michel ha lasciato il segno lui qualche pennellata, tanto da essere paragonato a "Raffaello" da Gianni Agnelli.

Quel maledetto rigore contro il Brasile

Gli anni della Juve sono coincisi con quello della Nazionale, di prodezze e di sbagli, in verità uno soltanto, il maledetto rigore alle stelle col Brasile nella finale del mondiale in USA '94, dove per la prima volta si assegnava la "Coppa del Mondo" ai rigori. Era la Nazionale di Arrigo Sacchi, colui che predicava da qualche anno il calcio nuovo, in cui la squadra doveva essere protagonista e non il singolo, non un goal e tutti indietro a difendere.

Ma senza le invenzioni di Baggio, quella Nazionale si sarebbe fermata prima e non avrebbe acceso l'entusiasmo e le speranze che si manifestavano quei giorni nel '94. Quel rigore lo segnerà profondamente per tutta la vita.

Poi ci sono i Mondiali del '98, quando l'Italia uscì ai quarti di finale con la Francia e poi quelli del 2002 in Giappone-Corea, quando Baggio a 35 anni vorrebbe essere ancora convocato da Trapattoni, dove proprio in Giappone, Roberto è popolarissimo per la sua vicinanza al Buddismo, ma il Trap non lo chiama e lui ci rimane molto male.

Pallone d'oro 1993

Roberto Baggio nel 1993, quando giocava con la Juve, ha conquistato anche il "Pallone d'oro", ciò nonostante non è riuscito mai a diventare il campione immagine di una squadra come Del Piero,Totti, Maradona. E' stato un grande campione, uomo sensibile anche se a volte appariva, solo.

Buon compleanno Roberto.