Trentaquattro anni. Tanto era passato dall'ultima volta in cui l'As Roma era riuscita ad accedere alle semifinali di Coppa dei Campioni. Un numero spazzato via in 90 minuti, lunghissimi, magici, perfetti. L'apoteosi di una squadra - di una città - storicamente poco abituata alle imprese sportive: perché ci voleva un'impresa per rimontare tre reti di svantaggio al Barcellona di Leo Messi, la Pulce argentina, cinque volte Pallone d'Oro, il giocatore più forte al mondo. E l'impresa è stata servita.

Il crepuscolo degli dei

In pochi ci avrebbero creduto: a maggior ragione dopo il 4-1 blaugrana maturato nell'andata al Camp Nou, un risultato figlio di una buona prestazione, ma anche di tanti, troppi errori dei giallorossi.

Tra coloro che non hanno mai smesso di crederci, però, c'era Eusebio Di Francesco. Il tecnico romanista ha studiato i "marziani" spagnoli fin nei minimi dettagli, ha cercato di capire come poterli mettere in difficoltà, ha cambiato sistema di gioco. E, soprattutto, ha inculcato nei suoi ragazzi una mentalità vincente. Il resto è già storia, condita con un pizzico di poesia. Edin Džeko, il bomber che sarebbe potuto partire nel mercato invernale e segna dopo sei minuti, rinvigorendo la fede nel miracolo. Daniele De Rossi, finalmente divenuto Capitan Presente, che riscatta l'autorete di Barcellona con una gara esemplare e, soprattutto, con il rigore del raddoppio che a inizio ripresa mette definitivamente le ali alla speranza.

Kostas Manolas, l'altro autogoleador del Camp Nou, che a otto minuti dal 90' fa esplodere i 70000 dell'Olimpico con un colpo di testa da calcio d'angolo che gonfia la rete per la terza - e decisiva - volta. E poi, l'incredulità di "don" Andrés Iniesta, le lacrime di delusione dei tifosi catalani, quelle di gioia dei supporter giallorossi.

Nell'anno del fallimento mondiale azzurro, l'anno zero del calcio italiano, la Roma dimostra che non ci sono affatto tre gol di distanza in favore del fútbol spagnolo (ai gironi, i capitolini avevano eliminato anche l'Atletico Madrid); che i successi sportivi non sono necessariamente legati al fatturato (una lezione, tra le altre, per Psg e Manchester City); che il gioco di squadra è più importante delle individualità: anche se si chiamano Lionel Messi.

Tra storia e presente

Vi sono delle curiose analogie con l'ultima volta dei giallorossi in una semifinale Champions. Anche allora, la "Maggica" si rese protagonista di una clamorosa rimonta, contro gli scozzesi del Dundee United, proprio in semifinale: fu un altro 3-0, ancora con un rigore a favore (segnato da capitan Di Bartolomei, dopo la doppietta di Pruzzo), e ancora con un arbitro francese (ieri Vautrot, oggi Turpin). Forse è per questo che oggi molti tifosi capitolini si augurano di pescare il Liverpool nel sorteggio di venerdì: ci sono ancora dei conti in sospeso da sistemare. E questa Roma non sembra temere alcun limite. Altri fattori, del resto, le sono favorevoli. Come la tenuta difensiva, certificata dal fatto che i giallorossi sono l'unica squadra in Champions League a non aver mai subito gol in casa.

O il costante ruolo di outsider, che toglie pressione ai capitolini rendendoli una vera mina vagante. Come il Leicester di Ranieri nella Premier League di due anni fa: sognare è lecito. Džeko ha dichiarato che il bello potrebbe ancora venire. E Di Francesco ha aggiunto che la Roma deve ambire sempre a qualcosa di più, che non c'è motivo di credere di non poter arrivare alla finale di Kiev. Certo, il confine tra speranza e illusione è estremamente labile. Ma oggi è quasi inevitabile pensare all'esultanza dei quotidiani sportivi iberici all'indomani del sorteggio che aveva abbinato Roma e Barcellona. Probabilmente, i prossimi avversari dei giallorossi saranno più cauti. E già questo sarà un successo.