Valentino Porcile, parroco della chiesa della Santissima Annunziata di Sturla a Genova, ha avuto un’idea originale e provocatoria per una penitenza da osservare in osservare in quaresima, fare a meno di Whatsapp almeno per due ore al giorno. Senza sembrare irriverenti e prendendo la cosa con la dovuta ironia, per qualcuno la cosa potrà sembrare più sacrificante dei 40 giorni di digiuno nel deserto di Gesù.

Meglio digiuni ma digitare

Il fioretto, secondo il prelato, servirà anche a capire se e fino a che punto siamo dipendenti da uno dei social media più usati non solo tra i più giovani.

C’è da scommettere che per molti sarebbe più facile rinunciare a carne o sigarette che a guardare il telefono in continuazione in cerca dell’ultimo messaggio.

“Altro che digiuno dal cibo. Altro che astinenza dalle carni. Troppo facile ragazzi. Mi piace molto l’idea di vedere Gesù che mi prende l’iPhone, me lo butta nel lago di Tiberiade, e mi dice: “Lascia le tue reti wireless, e seguimi”. Queste le parole del parroco genovese che non esclude se stesso tra i principali fruitori.

L’alternativa proposta da Don Valentino è quella di dare spazio alle relazioni umane vere e non virtuali, ritagliarsi quel tempo sottratto alle chat per parlare e poter incontrare persone vere piuttosto che essere connesso a tutti senza vedere nessuno, o dedicarsi a chi è meno fortunato.

Ritrovare i modi veri di comunicare

Le prese di posizione in merito al fioretto suggerito dal parroco di Sturla sono state contrastanti, qualche malizioso ha fatto notare che il sacerdote ha annunciato la sua proposta penitenziale proprio usando un social network, e Don Valentino ha colto l’occasione per respingere le accuse di oscurantismo e arretratezza che gli sono state mosse.

Il sacerdote non ha rinnegato di adoperare WhatsApp, anzi ha rivendicato l'utilità del sistema di messaggistica dichiarando di usarlo per mandare simultaneamente a migliaia di fedeli una preghiera ogni domenica mattina e a più di 350 famiglie una preghiera quaresimale ogni sera.

Il sistema WhatsApp non è “uno strumento da chiudere o eliminare”, ha precisato lo stesso Don Valentino, la provocazione della sua proposta consiste nel capire se possiamo farne a meno e se siamo capaci di “ritrovare modi autentici e veri di comunicare”.

Ma siamo davvero smart-dipendenti?

La Dott.ssa Nancy Etcoff, esperta del comportamento “mente e cervello” presso l’Università di Harvard e psicologa presso il dipartimento di psichiatria del Massachusetts General Hospital ha analizzato il modo in cui usiamo lo smartphone.

Lo studio condotto da Motorola ha avuto lo scopo di analizzare in che modo usiamo i dispositivi tecnologici e fino a che punto questi influenzano la nostra vita.

i risultati dello studio non sono quindi molto incoraggianti, quello che è emerso infatti è che le persone, e purtroppo soprattutto i più giovani, tendono a dare priorità al telefono rispetto ai propri cari, questo risultato riguarda più di un terzo degli interpellati, percentuale che diventa il 53% se si considerano i giovani dai 6 ai 23 anni, per fortuna il 60% del totale afferma di separare le due cose.

Ma qual è il nostro rapporto con il telefono?

Motorola ha creato un test per capire qual’è il nostro rapporto con lo smartphone, si tratta di un questionario composto da 10 semplici domande che si può fare sul sito phone-lifebalance.com. Questa iniziativa non è l’unica messa in campo dall’azienda americana per combattere il fenomeno di dipendenza da smartphone.

Oltre a questo studio Motorola ha proposto un programma di 60 giorni in collaborazione con la SPACE Phone-Life Balance App per aumentare la consapevolezza del proprio utilizzo del device.

Anche gli sviluppatori attraverso la Transform the Smartphone Challenge sono stati coinvolti e incoraggiati a proporre le loro idee per i nuovi Moto Mods, modi di utilizzo consapevole del telefono o di collegamento offline delle persone. Infine ci sono le Moto Experiences, che supportano interazioni mobile più intuitive.