Come è morta Elena Ceste? Cosa accadde la mattina di quel maledetto 24 gennaio? Vittima di femminicidio? Allontanamento volontario? Buio pesto. Il caso si raffredda, la cronaca si arricchisce di nuove drammatiche vicende e l'attenzione dei media si sposta su altre vicende. Ad un anno dalla scomparsa della giovane mamma di Castigliole d'Asti, il quadro indiziario tracciato dagli inquirenti non indica alcuna pista degna di nota. La mole di lavoro svolto è monumentale. interrogati oltre 70 testimoni, visionate ore ed ore di immagini registrate, spulciati i tabulati di un numero imprecisato di utenze e ascoltate centinai di conversazioni sia telefoniche sia ambientali.

Niente. Non un indizio, non una traccia.

L'unico indagato resta Michele Buoninconti, marito della donna. Ma cosa rende questo caso così oscuro e singolare nel suo genere? Ciò che lo rende unico è dovuto all'impossibilità di stabile con assoluta certezza le cause della morte. Se non ci sono le prove di un delitto, non esiste né il crimine né il criminale. E tutte le ipotesi, i sospetti, le bugie e le incongruenze emerse, che vedono il marito Michele al centro delle indagini, si fermano davanti il sacrosanto diritto di tutti i cittadini di essere "innocenti fino a prova contraria." E allo stato attuale non sono emerse prove tali da poter accusare il pompiere di Castigliole d'Asti di omicidio.

Il corpo è ancora a disposizione delle magistratura, ma il pessimo stato di conservazione in cui si trova, rende praticamente impossibile capire se si tratta di morte violenta, ovvero di delitto, o morte accidentale dovuta ad allontanamento volontario. Gli esperti forensi sono ancora al lavoro. Ma per gli uomini chiamati ad investigare sul caso, le difficoltà non finiscono qui.

Infatti, se anche si riuscisse a stabilire senza ombra di dubbio, la natura violenta della morte di Elena, trovare il responsabile è un'operazione tutt'altro che semplice.

Michele quella mattina non può aver ucciso la moglie. Le testimonianze dei vicini e le registrazioni video gli forniscono un solido alibi. Se si è macchiato di questo orribile delitto, non può che essersi servito dell'aiuto di un complice. Complice di cui ad oggi non c'è traccia.

La procura è quindi giunta ad un bivio. Trascinare in giudizio l'indagato nell'ambito di un processo indiziario, certi che gli elementi acquisiti siano "gravi, precisi e concordanti" tali da costituire una prova nel corso del dibattimento, o chiederne l'archiviazione alzando le mani in segno di resa. I processi indiziari, come in questo caso, sono sempre carichi di incognite e nascondono inquietanti interrogativi. Spesso, troppo spesso si dimentica, per furore inquisitorio, che il limite che separa la vittima dal carnefice è sottilissimo. Se Michele non è l'autore del delitto, lui e la sua famiglia sono le prime vittime di questa tragedia e processare una vittima non restituisce dignità alla povera Elena Ceste.