Si è presentato a sorpresa oggi in Vaticano Ali Agca, il “lupo grigio” condannato per l’attentato a Giovanni Paolo secondo. Esattamente 31 anni fa, il 27 dicembre 1983, nel carcere di Rebibbia, aveva incontrato Papa Wojtyla dopo avergli sparato all’addome, tentando di ucciderlo. "Sono qui, davanti alla Basilica di San Pietro, parlo dal centro della piazza, proprio sotto l'obelisco. Sono arrivato questa mattina da Istanbul. Ora vado a visitare la tomba di Giovanni Paolo II nelle Grotte vaticane. Sentivo la necessità di questo gesto”. Con queste parole si è presentato l’attentatore ai microfoni di Adnkronos International.

Un mazzo di fiori in mano, in ricordo di quello storico incontro di 31 anni fa. Ali Agca si è poi subito diretto alla Grotte Vaticane, dove riposano le spoglie del Papa polacco.

Ma la visita del Lupo Grigio non si è limitata al ricordo dell’attentato che, sembra quasi stridente dirlo, lo ha reso famoso. "Ho visto e parlato con Giovanni Paolo II. Mi sono scritto con Joseph Ratzinger. Avrei voluto incontrare Jorge Mario Bergoglio di recente durante il suo viaggio in Turchia alla fine dello scorso novembre. Non è stato però possibile. Chiedo allora di vederlo adesso. E magari, anche qualche cardinale di Santa Romana Chiesa". Ma è ferma è stata la risposta del portavoce della Sala Stampa del Vaticano, padre Federico Lombardi: "Ha messo i fiori alla tomba di Giovanni Paolo II.

Penso che basti".

“Un miracolo”, così Agca ha definito l’attentato da lui compiuto orami più di 30 anni fa. “Sono ritornato nel luogo del miracolo. Qua fu compiuto il terzo segreto di Fatima. Io con l’attentato al Papa ho compiuto un miracolo”. Il Lupo grigio è stato poi portato subito negli uffici della Digos per degli accertamenti.

Rischia l’espulsione dall’Italia. Potrebbe essere, infatti, entrato in Italia clandestinamente, passando in auto per l’Austria nella giornata di venerdì. “Ma quale visto? Sono entrato per conto mio” ha dichiarato, non a caso, ai microfono di Repubblica Agca. Da anni, infatti, l’ex terrorista tenta di ottenere un visto dalle autorità italiane.

Sempre negato, anche dopo la grazia ricevuta dalla Giustizia italiana e la libertà guadagnata nel 2010.

Era il 13 maggio 1981, davanti al Portone di Bronzo del Vaticano. Due colpi, una ferita all’addome e mai nessun movente. Mai nessuna chiarezza sul perché di un gesto così estremo. Agca, che fra qualche giorno compirà 57 anni, non ha mai chiarito chi gli commissionò l’attentato, chi gli diede la pistola e chi gli ordinò di sparare. 107 versioni diverse in 30 anni. Salvo poi rivelare che “Il caso è molto più semplice di quello che tutti pensano”. Una precisa volontà di mitizzazione, una precisa volontà di creare confusione e mistero intorno a uno dei fatti chiave della storia mondiale. A 30 anni da quel giorno trovare una risposta ha ancora una suo fondamentale e imprescindibile valore storico e morale.

Dare un nome e un perché a un gesto così incomprensibile non è solo un gioco, non è solo un divertente passatempo per gli investigatori e i complottisti di tutto il mondo. Dare un nome e un perché a questi fatti vorrebbe dire essere in grado di rileggere la storia con occhi nuovi, rileggere la storia dalla giusta prospettiva. La risposta probabilmente è contenuta in quel lungo incontro di 31 anni fa fra Papa Wojtyla e Ali Agca al carcere di Rebibbia. Un incontro, anch’esso, che rimarrà per sempre avvolto nel mistero. Anche se per altri motivi. Un incontro in cui la vittima perdona il carnefice. Un incontro in cui il Papa perdona il terrorista. Un incontro che probabilmente non potremmo mai capire, neppure se potessimo ascoltarne le parole.