L’Isis è arrivato in Libia. Ma fino a che punto? Inrealtà quelle che vediamo non sono le milizie irachene o siriane del sedicenteStato Islamico. La situazione in Libia è molto diversa da quello che vediamo.Ma facciamo una panoramica. Nel post-Gheddafi lo Stato africano è rimastosostanzialmente diviso in due parti, nell’ingovernabilità generale. Un governo diimpronta islamista, legato ai Fratelli Musulmani che avevano preso il potere inEgitto, ha sede a Tripoli. L’altro, quello uscito dalle ultime elezioni,risiede invece a Tobruk. E qui cominciano le complicazioni: entrambi i governisono contro l’Isis.
Il governo di Tripoli è però ostile all’Egitto, che hadeposto il governo dei Fratelli Musulmani, e quindi non intende combattereinsieme alle truppe del Cairo.
Per complicare ulteriormente le cose, bisogna considerareanche che la Libia è un paese ricchissimo di petrolio, e i campi petroliferisono controllati da società occidentali come Eni e Total. I campi petroliferisono spesso in zone controllate da tribù locali che garantiscono “protezione”dietro compensi in denaro. In mezzo a questo vuoto di potere e ad uno Stato centrale chesostanzialmente non esiste, si pone l’avanzata dello Stato Islamico. InLibia oltre ai soldi dei proventi del petrolio ci sono anche quelli “sporchi”dei clandestini arrivati da tutto il continente africano che non attendonoaltro che di partire verso l’Europa, Lampedusa in primis.
Un affare da milionidi euro basato sulla disperazione e sulla mancanza di futuro. Nessuno controllale coste libiche, quindi lo Stato Islamico ha buon gioco nell’imporre la sualegge nel traffico di esseri umani. E’ notizia di oggi che secondo l’agenzia Frontexci sarebbero tra i 500.000 e il milione di persone pronte a partire dallaLibia, e a tal proposito si teme un’infiltrazione degli uomini dell’Isis chepotrebbero raggiungere l’Europa sui barconi, mescolati ai disperati di tutto ilcontinente africano.
Il fronte è comunque meno compatto di quanto non sembri, gliuomini del Califfato non riescono a garantire una tenuta stabile del territoriocome quella che hanno in Siria o in Iraq, dove stanno comunque perdendoposizioni rispetto all’avanzata dell’esercito regolare iracheno. La distruzionedell’antica città di Nimrud e delle statue del museo di Mosul però ciricorda che il pericolo è ancora lontano dall’essere completamente distrutto.