L'Isis è tornato di nuovo a fare paura, questa volta non con un attentato, ma con un'avanzata in Siria, che sembra non avere sosta. I combattenti dello stato islamico sono giunti fino alla periferia di Damasco. L'Isis è dunque alle porte della capitale siriana, mentre in Iraq le truppe dei miliziani islamici stanno arretrando dinanzi a quelle dell'esercito regolare, che è riuscito a riprendere il controllo su Tikrit, la città che diede i natali a Saddam Hussein. In Siria invece i soldati Isis hanno continuato ad avanzare, fino a prendere il controllo del campo profughi palestinese di Yarmuk, a sud della capitale arrivando per la prima volta vicini al cuore del regime di Bashar al-Assad.

Al momento i combattimenti sono ancora in corso, mentre la Giordania ha chiuso l'ultimo posto di frontiera proprio con la Siria, a causa di un attacco lanciato dai ribelli.

La situazione in Siria

Preoccupante è soprattutto la situazione umanitaria, gli abitanti di Yarmuk stanno patendo la fame a causa della mancanza di cibo e di medicinali. In Siria lo Stato Islamico controlla ampie parti anche nella zona settentrionale, l'attacco odierno a Yarmuk è però arrivato inaspettato, proprio lo stesso giorno in cui in Iraq il ministro della difesa ha salutato come una grande vittoria la liberazione di Tikrit da parte dell'Isis, a centotrenta chilometri da Baghdad; la riconquista di tale città ha visto anche la partecipazione di alcuni raid aerei da parte degli americani.

A Yarmuk ora i miliziani controllano il principale ospedale dell'area, dove avrebbero sequestrato sia il personale che alcuni volontari.

Il campo, creato nel 1948 per ospitare i rifugiati palestinesi, in tempi recenti è diventata la roccaforte di gruppi di guerriglieri palestinesi sostenuti alla Siria. Dal 2011, anno di inizio della guerra civile, Yarmuk è divenuto il campo di battaglia fra fazioni opposte, trasformandosi in una delle aree dove la popolazione, al momento circa 18000 abitanti, è in condizioni a dir poco pessime. Già lo scorso anno, l'organizzazione ONU per i rifugiati aveva lanciato l'allarme sostenendo l'impossibilità di consegnare gli aiuti, a causa delle tensioni e degli scontri armati.