"La gente italiana dovrebbe capirlo in questo modo: Gruevsky è il nostro Berlusconi". Utilizza questo esempio Janko Lega, giovane manifestante in piazza a Skopje, dove secondo gli organizzatori (l'Unione Socialdemocratica di Macedonia Sdsm), si è tenuta la più grande manifestazione di protesta della storia del paese balcanico.

I manifestanti chiedono le dimissioni immediate di Nikola Gruevski

Decine di migliaia di persone, 40.000 secondo fonti sul posto, si sono radunate di fronte al palazzo del Governo, con bandiere macedoni, albanesi e gigantografie del leader dell'opposizione Zoran Zaev.
Chissà quale sarà il colore di questa nuova rivoluzione che nelle ultime settimane sta scaldando gli animi della Macedonia e che ha raggiunto la sua massima vivacità proprio ieri. La richiesta è chiara: le dimissioni immediate del Primo Ministro Nikola Gruevski, coinvolto nello scandalo intercettazioni.
Il premier avrebbe cercato di organizzare brogli elettorali e di coprire la morte di un ragazzo di 22 anni, picchiato dalla polizia durante le celebrazioni post elettorali del 2011.

La rivoluzione colorata e l'appoggio dell'occidente

Una rivoluzione colorata un pò "speciale", cioè un mix tra una sollevazione "pacifica" interna, interetnica (circa il 30% dei macedoni sono musulmani di etnia albanese) e aggressione armata dall'esterno.

Lo sviluppo di un regime autoritario dopo il fallimento del liberismo di mercato imposto con l'allargamento europeo postsocialista è un fenomeno che si espande sempre più frequentemente nei paesi dell'est. Alla Macedonia non manca l'appoggio occidentale, come in tutte le rivoluzioni che si rispettino. I temi principali che ne giustificano l'interesse sono: la violazione dei diritti umani e svariate pressioni diplomatiche, come quella dell'ambasciatore americano a Skopje, Jess Bailey, che dopo avere incontrato il premier macedone Nikola Gruevski rende noto un comunicato congiunto, firmato anche da Italia, Francia, Regno Unito, oltre che dalla Unione Europea, che critica l'azione del governo sulla questione delle intercettazioni telefoniche.

Anche il nostro ambasciatore a Skopje Massimo Belelli fa sentire la sua voce dichiarando il rischio isolamento diplomatico se il governo macedone non prenderà misure riguardo la libertà di stampa e lo stato di diritto.
A peggiorare la crisi del paese, lo scorso fine settimana 22 persone sono morte negli scontri scoppiati tra le forze dell'ordine e un gruppo armato formato da ex miliziani dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk) a Kumanovo. In seguito alle violenze si sono dimessi il ministro dell'interno, il ministro dei trasporti e il capo dell'intelligence.

"L'evoluzione della situazione in Macedonia è dovuta al rifiuto del governo macedone di sostenere le sanzioni nei confronti della Russia, nonché della sua decisione di aderire al progetto del gasdotto Turkish Stream". È questa l'opinione di Sergey Lavrov, Ministro degli Esteri russo che ha aggiunto: "Non possiamo evitare di pensare che ci sia un qualche collegamento tra questi fatti".

Albania e Macedonia: una pace difficile

Per Ali Ahmeti, ex comandante dell'Armata di liberazione nazionale, gli albanesi sostengono il progetto di cooperazione degli Usa, la Nato e L'UE e hanno già garantito il massimo appoggio per aiutare l'opposizione ad ottenere le dimissioni del premier. Il parallelo tra la crisi ucraina e quella macedone è per molti analisti russi l'anticamera di scenari già visti di recente. Il progetto di una "Grande Albania" è apertamente sostenuto dal premier di Tirana, un cambiamento che metterebbe insieme i musulmani di Kosovo, Albania e Macedonia.

Piccolo particolare, la Macedonia è per maggioranza ortodossa, difficile quindi immaginare uno scenario pacifico e intravedere un futuro tra quelle due bandiere, albanese e macedone che sventolavano insieme in piazza, legate da un obiettivo comune.

"Addio Nikola", era lo slogan dei tanti cartelloni a Skopje, con riferimento al capo del governo, tantissimi i giovani in piazza, animati loro si, da una incondizionata voglia di democrazia e giustizia. Molti promettono di non abbandonare la protesta fino a che il premier non accetterà di dimettersi.
"Chiediamo alla comunità internazionale di non rimanere in silenzio".