Il caso Marò dura ormai da tre anni e mezzo, in un infinito braccio di ferro che riguarda Italia e India. Anche l'opinione pubblica è spaccata in due, tra innocentisti e colpevolisti. Ricordiamo che la vicenda riguarda il caso dell'Enrica Lexie, nel quale due fucilieri della marina italiana impegnati in India, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono accusati di aver ucciso due pescatori indiani il 15 febbraio 2012 al largo della costa del Kerala, stato dell'India sud occidentale. Il primo si trova in Italia, causa un'ischemia, ma dovrà fare ritorno in terra indiana.

Alcuni mesi fa c'è stata anche una polemica politica riguardante il Governo Monti, allora in carica, che secondo una tesi avrebbe potuto trattenere i due fucilieri, che si trovavano in Italia durante le festività natalizie.

Comunque, polemiche e dietrologie a parte, ora spunta una documentazione che potrebbe scagionarli definitivamente e che riguarda i proiettili estratti dal corpo delle vittime. Vediamo i particolari.

Proiettili diversi da quelli in dotazione ai due militari

La prova che potrebbe finalmente scagionarli emerge dalle carte depositate dall'India al Tribunale del Mare di Amburgo, che avrebbero un effetto boomerang, giacché dovevano servire agli indiani proprio per provare la colpevolezza dei Maro'.

Tra i documenti c'è la relazione dell'autopsia, dalla quale emergerebbe che i proiettili che hanno ucciso i pescatori indiani sono diversi da quelli in dotazione ai Marò. In particolare, l'autopsia parla di un'ogiva estratta dal corpo di una delle vittime lunga trentuno millimetri, con circonferenza di venti alla base e ventiquattro nella parte più larga.

Proiettili dunque nettamente diversi da quelli dati in dotazione dalla Nato ai Marò e non compatibili con ifucili mitragliatori tipo Beretta AR 70/90 e Minimi. Ma gli elementi a loro favore non finiscono qui.

Anche le testimonianze destano molti sospetti

Infatti, le testimonianze utilizzate per accusare i due Marò sarebbero fasulle, giacchè sono tutte identiche e riportano tutte gli stessi errori.

Infine, c'è anche un'incongruenza: il Gps del Saint Antony non fu consegnato da Bosco alla polizia appena giunse nel porto dove si sarebbe consumato il fatto, bensì otto giorni dopo, il 23 febbraio, assieme a un computer malridotto. E ciò puzza tanto di sabotaggio e manomissione.

Insomma, il caso Marò potrebbe finalmente arrivare a una svolta decisiva. Peccato che per arrivare a tutto ciò ci siano voluti tre anni e mezzo. Un governo più deciso e una maggiore attenzione internazionale avrebbero senza dubbio accelerato il tutto. Ma meglio non tornare alle dietrologie di cui sopra e pensare a risolvere una volta per tutte questa vicenda. Certo, se questi elementi fossero confermati, resterebbe tanta amarezza per una mancata celere soluzione.