Maurizio Falcioni, condannato a venti anni di carcere per l’aggressione a Chiara Insidioso Monda, ha ottenuto uno sconto di pena di quattro anni. Questa la sentenza della Corte di Appello di Roma.

Torniamo al 2014: Chiara, diciannovenne convivente di Falcioni, viene aggredita dal compagno. Ridotta in fin di vita, affronterà un calvario: il coma, le operazioni e le costanti curea cui è tutt’ora sottoposta. Questo lo scotto da pagare per la gelosia del convivente. Il colpevole viene condannato con rito abbreviato a venti anni di carcere. Oggi, lo sconto di pena, ovviamente la decisione della Corte ha alzato un polverone di critiche e dissensi.

Le reazioni

A seguito della lettura del dispositivo in aula, il padre della vittima ha espresso tutto il suorisentimento in unpost su Facebook. Il senso di ingiustizia cheemerge dalle parole del genitore é lampante. Quando un cittadino avverte il tradimento da parte delle proprie istituzioni, la funzione dello Stato come garante dell’ordine viene messa in discussione. Il caso Falcioni é esemplare rispetto alla discrasia tra il comune sentire rispetto a quello che dovrebbe essere la giustizia, e quello che quest'ultima é concretamente.

A questo punto verrebbe da chiedersi: l’abbreviazione della pena può mettere in discussione la certezza della stessa? Non è necessario scomodare il Beccaria, per rendersi conto di quanto queste sentenze possano mettere in dubbio la certezza del diritto, la fiducia che la collettività vi ripone.

Il femminicidio è un tema scottante dal carattere emergenziale. La giustizia lo è altrettanto.

Da un lato vi sono storie di violenza quotidiane, consumate tra le mura domestiche. Dall’altro, una magistratura traballante tra criteri di ragionevolezza, riti ed applicazione della pena. Mentre nei salotti televisivi e in Parlamento vengono spesi fiumi di parole su come fermare la mattanza, i magistrati operano in un caos di riti, codici e codicilli. In questo sistema entropico fluttua un sfiduciata opinione pubblica che reclama pene esemplari, certe.