Tutti i figli hanno sia il diritto al mantenimento da parte dei genitori, sia il diritto a quell’assistenza morale che gli consenta di sviluppare la personalità. Tale obbligo non viene meno nemmeno quando loro diventano maggiorenni, nel caso in cui gli stessi continuano a studiare per rafforzare la loro preparazione culturale e sociale, che gli consenta di entrare nel mondo del lavoro con più competenze e quindi con più sicurezze. Tale obbligo di mantenimento inoltre sussiste anche quando gli stessi genitori si siano separati o divorziati. Il giudice quindi dovrà innanzitutto fissare la misura dell’assegno di mantenimento, di solito a carico del coniuge economicamente più forte, a cui però non vengano affidati i figli anche se maggiorenni.

Tuttavia, come ha statuito una recente sentenza della Corte di cassazione, il figlio maggiorenne non può beneficiare dell’assegno di mantenimento ad oltranza e senza la sussistenza di valide condizioni. Il genitore sul quale grava tale adempimento non sarà più costretto a dover versare l’assegno in 2 casi:

  • Se egli fornisce la prova che il figlio ha raggiunto l’autosufficienza economica
  • Se egli fornisce la prova che il mancato inserimento nel mondo del lavoro del figlio dipenda da una sua negligenza, sottraendosi lo stesso in modo consapevole allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata alle sue capacità professionali.

Quali i limiti al diritto del figlio di essere mantenuto?

La Suprema Corte si è occupata di un caso in cui una madre, sulla quale appunto gravava l’obbligo di versare l’assegno di matenimento di 400 euro ai figli conviventi con il padre, ha chiesto la revoca di questo provvedimento.

La Corte d'Appello ha accolto la sua richiesta revocando il contributo, sulla scorta delle motivazioni della madre che sottolineava come i figli in realtà avevano raggiunto un’autosufficienza economica. La vicenda giudiziaria finisce in Corte di Cassazione dopo il ricorso del padre. A nulla però sono valse le sue doglianze perché i giudici di legittimità hanno rigettato il suo ricorso.

Infatti la Corte di Cassazione ha evidenziato che entrambi i figli non hanno saputo dare la prova di aver sostenuto un numero di esami sufficienti, tale da far ritenere che loro volessero effettivamente frequentare l’università. Infatti mentre uno dei due, che si era iscritto al 3 anno di scienze biologiche aveva superato solo 4 esami, l'altro invece era iscritto al corso di laurea in Cultura e Amministrazione dei beni Culturali e aveva superato meno della metà degli esami, essendo anche lui fuori corso.

Poca voglia di studiare: la Cassazione dice no al mantenimento

Ne consegue che essi quindi frequentavano l'università a tempo perso. A detta dei giudici di legittimità, i figli che in teoria avrebbero dovuto fruire dell’assegno proprio per mantenersi durante i loro studi universitari, in pratica non avendo sfruttato tale opportunità, devono ritenersi decaduti automaticamente da tale diritto. Dalle indagini espletate essi inoltre risultavano titolari di redditi da lavoro. Ciò stava a significare che avevano preferito più andare a lavorare che seguire le lezioni universitarie. Insindacabile deve dunque ritenersi la decisione della Corte di cassazione di revocare l’assegno di mantenimento a loro favore. (Corte di Cassazione sentenza n. 1858 del 01.02.2016). Per altre info. di diritto premi il tasto segui accanto al mio nome.