La certezza muore dopo la speranza; la speranza dei genitori di Giulio Regeni, il 28enne friulano trovato cadavere a Il Cairo con evidenti segni di tortura, è morta tre giorni fa alla conferma della notizia. Di certo non c’è ancora nulla, forse anche per la reticenza del governo egiziano, quasi costretto dalle pressioni diplomatiche a scavare nei dettagli. Altrimenti avrebbero ben volentieri chiuso e rubricato la morte del giovane come banale incidente stradale. Ma quelle torture negano valore a questa ipotesi. Scatta l'ipotesi di un affaire politico: Regeni doveva fare i nomi degli oppositori, ma la sua morte forse è stata un tragico avvertimento all'Italia.

Un affaire politico

Regeni stava lavorando ad un’inchiesta sui consorzi sindacali e sui sodalizi ostili al regime di Al Sisi spingendosi nel terreno dove ogni verità è fuori legge e tutto si coniuga al condizionale. Secondo quanto ventilato dall’Huffington Post, il reporter è stato prelevato da reparti della polizia politica o dei servizi segreti, nota al popolo come Mukhabarat, una sorta di multinazionale del terrore attiva anche in altri Paesi del mondo arabo. Solo che questa volta hanno sottovalutato le conseguenze dell’azione criminosa nei confronti di un cittadino italiano, un occidentale. L’omicidio infatti non si esaurisce a fatto di cronaca, ma costituisce affronto politico rilevante sul piano delle relazioni internazionali.

A questo punto resta ancora sospesa l'interrogativo di dove sia partito l’ordine di scuderia, e quindi se sia stata una iniziativa del Mukhabarat o della corte presidenziale. Ma un altro scenario diventa possibile, in una geometria diversa che vedrebbe come autori esponenti delle fazioni di opposizione che avrebbero strumentalizzato l’omicidio per gettare discredito sul presidente Abd al- Fattah al-Sisi, immaginando l’incidente politico e le ripercussioni sui rapporti internazionali.

Ricostruzioni dell’omicidio

Secondo le fonti accolte dall’Huffington Post, Giulio Regeni è stato arrestato il 25 gennaio scorso in un luogo non ancora accertabile, insieme ad altre quaranta persone, pescate dalle schiere degli oppositori di governo. Segue il trasferimento in una caserma o direttamente in una sede del Mukhabarat.

Cominciano le torture, protratte per un giorno e mezzo, forse anche due. Conoscere l’arabo è stata per lui una rovina, perché così è stato ritenuto in grado di ammettere tutto sui cospiratori. Due giorni sono un tempo infinito per sevizie non immediatamente fatali, gocce cinesi durate fino al sabato, poi è seguito un altro giorno di silenzio e infine il ritrovamento. Il referto dell’autopsia autorizzata dal governo egiziano è agghiacciante: 31 ossa rotte, bruciature di sigarette e un orecchio mozzato. Giulio Regeni è stato punito personalmente per le sue audaci intrusioni, ma è stato sacrificato anche a nome dell’Italia, apparentemente solidale con Al Sisi, ma colpevole delle relazioni amichevoli ora con Tripoli ora con Tobruk. La sua morte non verrà mai veramente riscattata, perché dove c’entra la politica il non dire è d’obbligo.