Non è infrequente il caso in cui il reato di abuso edilizio, che si configura quando una costruzione viene edificata senza un valido titolo abilitativo, e si prescrive quando ancora è in corso il processo penale. Esso infatti è soggetto a termini di prescrizione brevi (4 o 5 anni se inizia un procedimento penale). La Corte di Cassazione a Sezione Unite con la sentenza penale n. 15427 del 13 aprile si è pronunciata proprio sulla questione della prescrizione dei reati urbanistici, quando l’imputato chiede al giudice di mantenere sospeso il processo in attesa di una sanatoria dell’abuso edilizio.
In tali casi la sospensione dell'azione penale relativa alle violazioni edilizie di cui all'articolo 45 DPR 380/01, accordata dopo che il giudice verifica l’esistenza dei presupposti necessari, ha sempre comportato dei vantaggi per l’imputato. Per quest’ultimo è molto facile accumulare i 5 anni per il maturare della prescrizione, che impedisce innanzitutto una pronuncia di condanna per il reato di abuso edilizio, l’impossibilità di ordinare la demolizione (in alcuni casi) e la richiesta dell’imputato di calcolare a suo favore gli anni trascorsi in attesa del provvedimento amministrativo.
Il ragionamento della Sezione Unite
La Suprema Corte con tale autorevole sentenza, restituendo tempi certi e definiti ai poteri giudiziari, ha sottolineato in primis le differenze che intercorrono fra la disciplina del condono edilizio che presuppone una violazione sostanziale e quella della sanatoria che presuppone invece una violazione formale.Tale sanatoria è infatti destinata al recupero degli interventi abusivi costruiti senza permesso ed estingue quindi i reati contravvenzionali, previo accertamento della conformità degli stessi agli strumenti urbanistici generali.
Su tale richiesta di sanatoria da parte del richiedente, che deve pagare una somma a titolo di oblazione, il responsabile del competente ufficio deve pronunciarsi entro 60 giorni, trascorsi inutilmente i quali la domanda si intende respinta (ipotesi di silenzio rifiuto).
Gli Ermellini hanno risposto positivamente ai 2 quesiti a loro sottoposti.
Ovvero se il periodo di sospensione disposto dal giudice nelle ipotesi di presentazione di istanza per l’accertamento di conformità debba o meno essere considerato ai fini del computo dei termini di prescrizione del reato edilizio e se in caso di successive istanze di rinvio del processo dinanzi al giudice penale devono applicarsi le norme in tema di sospensione della prescrizione (articolo 159 cp)
Il principio di diritto enunciato dalla Cassazione
È bene ricordare che sul punto esistono infatti 2 contrapposti indirizzi giurisprudenziali.
Un I° orientamento ritiene l’illegittimità dell’ordinanza di sospensione dei termini di prescrizione per un tempo superiore alla durata della procedura amministrativa per la definizione delle sanatoria e al differimento del procedimento penale. Un II° orientamento che ritiene invece come in presenza di un rinvio giustificato dalla pendenza di un procedimento amministrativo poi non perfezionato, l’operatività della sospensione ai fini del calcolo della prescrizione viene estesa per l’intera durata del differimento. Gli Ermellini quindi, abbracciando la I^ tesi hanno statuito 2 importanti principi sulla prescrizione quinquennale, ovvero:
- la presentazione di un istanza di accertamento di conformità al comune (articolo 36, Dpr 380/2001), determina la sospensione del processo e quindi il quinquennio non decorre
- la prescrizione ricomincia a decorrere solo qualora il Comune non si pronuncia entro 60 giorni
Le conseguenze che ne discendono sono immediate: se l’imputato ora chiede al giudice la sospensione del processo, egli non può più sperare nel fluire dei 5 anni in attesa che il comune si pronuncia sulla sanatoria.
Benchè quindi la prescrizione resta di 5 anni, essa non subirà più nessuna interruzione chiesta per una mera strategia processuale. Con il risultato che l’imputato può subire più facilmente una condanna penale.