Il lavoratore può essere licenziato dall’azienda, per la quale lavora, se i suoi giorni di malattia superano il tetto massimo di quelli stabiliti dal contratto collettivo di lavoro. Questa regola però non vale se l’infortunio, causa della sua assenza per malattia, si sia verificato in relazione alle sue mansioni svolte all’interno dell’ azienda, nelle quali si sia trovato privo di idonee e appropriate misure di sicurezza previste dalla legge per la tutela della sua salute.

Il dipendente non può essere licenziato durante la malattia

Una recente sentenza della cassazione infatti ha stabilito che leassenze per malattia del dipendente, anche se risultano numerose, non si possono calcolare ai fini del cosiddetto “comporto”, risultando quindi non influenti per il possibile suo licenziamento, se a determinare il suo stato di salute abbiainfluito il suo ambiente di lavoro.

Il ricorso, in particolare, riguarda l’allontanamento di un insegnante dall’istituto nel quale lavorava, in relazione al limite raggiunto dei giorni di malattia previsti dal suo contratto.Il periodo di malattia che tutela il lavoratore dal possibile licenziamento si chiama “periodo di comporto”. In questo lasso di tempo è garantito al dipendente il suo posto di lavoro e la sua normale retribuzione economica, fermo restante che le sue assenze per malattia siano state determinate dalla mancata idoneità dell’ambiente di lavoro sia in ambito di pubblica amministrazione che del settore privato. Non adottare le cautele opportune, costringendo il proprio dipendente a svolgere il suo lavoro in ambienti non idonei, risulta sicuramente un valido motivo per non far attivare le procedure del licenziamento per assenteismo del lavoratore per eccessivo periodo di malattia.

LasentenzadellaCorte per lacausadi malattiadi un insegnante

In un istituto scolastico pugliese, nonostante l’insegnante, oggetto del ricorso, fosse stato già dichiarato invalido, aveva continuato a prestare servizio fino a marzo 1998, mese nel quale era stato costretto arichiedere un permesso straordinario. La visita medica lo aveva trovato "permanentementenon idoneoallemansionicomeinsegnante, ma idoneo a svolgere compiti in ambito amministrativo.

L’insegnante aveva quindi deciso di agire per vie legali, ma le sue motivazioni erano state rigettate dal Tribunale di Foggia e dalla Corte di appello di Bari. Il primo luglio 2016la Corte Suprema hainfinedeliberato il suo parereafavore dell’insegnante, ritenendo che l’aggravamento della sua malattiaerastata determinata dall’omissioneevidente di provvedimenti cautelativida partedelsuodatoredilavoro.