Sirte, scenario tragico di una battaglia spietata, a tutt'oggi è inondata dall'odore del sangue. Il quadro è desolante ed è quello di una lotta che non lascia spazio al tempo, alla vita.I combattimenti continuano senza sosta. Mentre i soldati di Misurata avanzano, i miliziani dell'Is difendono, con i mezzi tipici della loro strategia, il proprio quartier generale.
Mine disseminate su tutto il territorio, bombe e trappole falcidiano i soldati libici. È uno scenario quasi apocalittico: gambe tagliate, brandelli di corpi sparsi ovunque. Gli ospedali sono al collasso e i medici, spesso volontari, lavorano in condizioni di precarietà.
Necessitano farmaci, personale sanitario, e i pochi presenti devono fare i conti con un afflusso continuo di corpi maciullati dalle mine.
Necessitano aiuti
Questo il messaggio di Fayez Serraj rivolto all'Italia nei giorni scorsi nel corso di un'intervista.Un'Italia divisa dalle polemiche e dalle perplessità, in cui il dibattito si accende sulla disponibilità logistica delle nostre basi militari.
Che il pericolo Isis sia rilevante per la nostra nazione "tradizionalmente amica della Libia" (queste le parole di Serraj), è indiscutibile, ma risulta ancora più temibile un'ipotetica rappresaglia del Daesh. Il continuo afflusso di migranti sulle nostre coste desta non poche preoccupazioni. L'Isis è un'organizzazione temibile e non è da escludere che possa servirsi di qualunque mezzo per inviare propri "infiltrati" in Italia e in Europa.
Per questo si chiedono solo aiuti umanitarie disponibilità, da parte degli ospedali italiani, all'accoglimento dei feriti libici in tempi brevi. Necessitano anche ospedali da campo per i primi soccorsi dei combattenti in prima linea.
La presenza di forze speciali italiane
È una presenza avvolta dal silenzio e dal riserbo, ma la notizia è trapelata ugualmente.
Racconti di personale militare libico, testimonianze di chi rivolge la propria gratitudine ai soldati italianipresenti sul territorio, impegnati nell'addestramento per la rimozione-mine.
"Ma non vogliono vedere i giornalisti, preferiscono lavorare in silenzio", questa la dichiarazione di un comandante libico che ammette questa presenza già da tempo.E mentre non cessano le polemiche nel nostro Parlamento, continua senza sosta l'azione di questi "angeli della morte" costretti a lavorare in silenzio, rischiando la propria vita.