Oltre 100mila bambini ad Aleppo non hanno accesso ad acqua pulita, e per sopravvivere sono costretti a consumare ciò che resta sul fondo dei pozzi in disuso o ciò che si raccoglie nei canali di scolo e nelle pozze che vengono a formarsi lungo gli assi viari martoriati dai combattimenti.

La denuncia giunge dall’Unesco, a sottolineare la drammaticità della situazione in cui versa la città siriana nei suoi tratti più aberranti, ovvero la sofferenza dei più giovani e innocenti. Tanti sarebbero infatti i minori nel complesso dei 250mila individui rimasti nei quartieri orientali del centro urbano da qualche tempo sprovvisti d’acqua, ancora in mano ai ribelli ma sempre più asserragliati dalle forze filogovernative.

Bombardamenti e rappresaglie mirati sulle infrastrutture

La causa della mancanza di copertura idrica sarebbe da ricondursi ai bombardamenti effettuati dai caccia di Assad la notte di giovedì 22 settembre, un attacco che, stando ai “caschi bianchi” del Syrian Civil Defense, l’organizzazione civile che presta opera di soccorso nel Paese, avrebbe causato 93 morti, importanti danni infrastrutturali e un’immediata rappresaglia logistica da parte dei miliziani ribelli.

«Le bombe di giovedì notte hanno colpito la stazione di pompaggio di Bab al-Nayrab, che rifornisce la zona orientale di Aleppo e i suoi attuali 250mila residenti. I tecnici non hanno modo di avvicinarsi per via del procedere degli scontri – ha spiegato Hanaa Singer, rappresentante UNICEF in Siria – a mo’ di ritorsione allora è stata disattivata dalle forze antigovernative la stazione di Suleiman al-Halabi, che si trova nella zona est da loro controllata ma che può compromettere l’erogazione di acqua a un milione e mezzo di individui nella città occidentale.

Per il momento il rischio maggiore lo sta comunque vivendo chi risiede nella zona est, perché ad ovest, seppur per un periodo non troppo prolungato, i pozzi già esistenti costituiscono un’alternativa accessibile e tutto sommato valida. Non c’è dubbio, però, che si debba lavorare attraverso i canali politici e diplomatici per consentire la riparazione della stazione di Bab al-Nayrab e il ripristino di quella di Sulemain al-Halabi»

Il mondo guarda con sgomento, incapace di trovare un accordo

Elevatissimo, al momento, il rischio di patologie gastrointestinali dovuti alle pessime condizioni igieniche dei liquidi ingeriti, così come lo svilupparsi di vere e proprie forme virali che potrebbero sfociare in epidemie.

L’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, starebbe facendo del proprio meglio per riuscire ad aprire vie umanitarie volte a mettere in salvo feriti e ammalati, anche per il fatto che, stando alle informazioni di cui dispone l’Agenzia, attualmente in tutta la regione orientale di Aleppo attanagliata dagli scontri vi sarebbero solamente 35 medici.

Questi i dati forniti dalla portavoce dell’OMS Fadela Chaib.

Ad estendere su piano geopolitico la tragedia della scissione di Aleppo e degli ultimi sviluppi relativi all’emergenza idrica e agli innumerevoli decessi tra i bambini, è stato Padre Ibrahim Alsabagh, francescano e parroco latino di Aleppo, ai microfoni di Radio 1 Rai: «In Siria siamo al quinto anno di una guerra mondiale, e Aleppo ne è l’epicentro. Non conta granché un accordo tra Assad e i ribelli, non sarà questo ad essere risolutorio. Devono dialogare e giungere ad un punto di incontro tutte le Nazioni che giocano sullo scacchiere siriano: Turchia, Iran, Qatar, Arabia Saudita, Israele, Giordania. L’intesa deve coinvolgere le potenze americane e russe, non si può fermare il conflitto dall’interno»