Lunedì 3 Ottobre la Corte Suprema di Islamabad si riunirà per vagliare il caso di asia bibi, la donna pakistana di confessione cattolica condannata alla pena capitale per blasfemia nel 2010. A distanza dei sei anni trascorsi dietro le sbarre si apre uno spiraglio per la donna, per la cui salvezza molti governi e organizzazioni di tutto il mondo negli anni scorsi hanno esercitato pressione sul governo pakistano. Alla vigilia dell'udienza la figlia della donna rivolge un appello a Papa Francesco: "preghi per mia madre e sarà liberata". Ma anche se nell'ambiente c'è un certo ottimismo, la Corte Suprema potrebbe decidere di confermare il verdetto di condanna a morte, come vorrebbero gli islamici più radicali.
La blasfemia in Pakistan è punita con la morte
In Pakistan l'Islam è riconosciuto come religione di Stato, e la legge punisce la blasfemia con la pena di morte. Asia Bibi sarebbe probabilmente stata giustiziata da tempo, se le organizzazioni umanitarie non fossero riuscite ad accendere i riflettori internazionali sul suo caso. La donna è diventata una icona delle persecuzioni in Pakistan dove le autorità sono in mezzo a due fuochi: le pressioni internazionali per la sua liberazione e quelle della parte più fondamentalista dell'opinione pubblica, che invoca il "rispetto della legge" e quindi l'esecuzione di Asia Bibi.
La storia di Asia Bibi
L'episodio che ha portato alla condanna a morte di Asia Bibi risale al Giugno 2009, quando la donna lavorava come bracciante agricola.Ebbe una lite con alcune colleghe di lavoro di religione musulmana, che alcuni giorni dopo la denunciarono dichiarando che durante il diverbio Asia Bibi avrebbe insultato Maometto.
Essendo la versione confermata da più persone, le autorità arrestarono la donna, che fu persino picchiata e stuprata.
Asia Bibi si è sempre dichiarata innocente, ed in Pakistan non è infrequente che l'accusa di Blasfemia, confermata da testimoni, sia utilizzata come mezzo di ritorsione a seguito di liti personali. Tuttavia secondo un giudice pakistano che si è espresso un anno dopo l'arresto, la possibilità che la donna sia stata accusata ingiustamente sarebbe da escludere.
Nel 2011 una Ong che sostiene la liberazione di Asia Bibi fece visita alla donna in carcere, constatando le precarie condizioni igieniche in cui era costretta a vivere e rilevando come la donna fossemolto provata fisicamente e psicologicamente. Ma non c'è stato niente da fare, le autorità pakistane fino ad oggi non hanno voluto saperne di liberarla. Speriamo che domani sia la volta buona.