La Procura di Roma vuole vederci chiaro, anche a distanza di mesi. Ha ordinato, pertanto, la perquisizione della Bonatti, azienda per la quale lavoravano gli uomini rapiti in libia.Di 4 ostaggi, per due purtroppo non c'è stato ritorno: da questa mattina, i Carabinieri deiRos sono in pianta stabile presso la sede dell'azienda datrice di lavoro dei due connazionali uccisi da un cellula terroristica.La Procura ha impartito indicazioni precise: acquisire quante più prove possibili, che possano suffragare l'ultima tesi investigativa.

Sembra ipotizzato, infatti, il coinvolgimento di un manager della società, Dennis Morson, operation manager, deputato a garantire la sicurezza dei dipendenti bonatti impegnati per lavoro in territori stranieri e pericolosi.

Omicidio colposo: questa l'ipotesi di reato

Per i giudici capitolini si potrebbe configurare l'ipotesi di reato di omicidio colposo e di violazione dell'articolo 2087 del Codice Civile, in materia di tutela delle condizioni di lavoro. A risponderne, il manager della società che avrebbe dovuto tutelare sulla sicurezza ed incolumità dei tecnici inviati in territorio libico.

Il pm Sergio Colaioccovuole ricostruire fin nei minimi dettagli tutte le circostanze che hanno posto i due tecnici nella condizione di essere facile preda dell'assalto terroristico, che li ha condotti alla morte avvenuta lo scorso marzo dopo 7 mesi di prigionia.Cosa è realmente accaduto, e soprattutto, cosa non ha funzionato durante il trasferimento dei due lavoratori dall'Italia alla Libia?

Le famiglie chiedono giustizia

Per le famiglie dei due tecnici italiani, uccisi dal commando terrorista che li aveva rapiti, parla il legale della famiglia Failla, che sottolinea la trascuratezza adottata dalla Bonatti nel dislocare i propri dipendenti in territori ad alto rischio:

"il trasferimento di Salvatore Piano e Fausto Failla in terra libica è avvenuto con modalità assolutamente inadeguate", ribadisce con forza l'avvocato penalista Francesco Caroleo Grimaldi, sottolineando soprattutto il dolore dei familiari che ancora oggi - dopo tanti mesi di attesa - attendono che sia fatta chiarezza e, soprattutto, giustizia.