A distanza di un anno dall’introduzione dell’approccio "hotspot", come risposta all’aumento degli sbarchi in Europa, solo una parte di migranti e richiedenti asilo è stata ricollocata come previsto. Al contrario, si è evidenziato il persistere di un atteggiamento aggressivo nei controlli delle autorità, con presa di impronte digitali sistematica, selezioni sommarie ed espulsioni rapide. Sono le conclusioni tratte dal rapporto 2015-2016 "Hotspot" di amnesty international, promosso dall’Unione Europea per verificare le violazioni dei diritti di migranti e rifugiati, basato su 174 interviste.

Approccio "hotspot"

Con 153mila sbarchi e quasi 3.000 morti in mare, il 2016 è stato un anno particolarmente nefasto. Il piano del governo italiano di distribuzione di migranti e richiedenti asilo in apposite strutture sparse lungo il territorio nazionale, i cosiddetti "hotspot", si è basato sull’idea di maggiori e più rapidi controlli. Ma "la solidarietà è stata illusoria", commenta Amnesty International, mentre "gli elementi repressivi concepiti per prevenire spostamenti negli altri Paesi sono stati attuati in modo aggressivo, con costi elevati in termini di diritti umani".

L’Italia

Le autorità italiane, nel tentativo di adeguarsi ad un tasso di identificazione del 100%, si sono spinte "oltre i limiti", denuncia Amnesty International.

Coercizione ed uso della forza fisica sono diventate "la regola", e coloro che si sono rifiutati di lasciare le impronte digitali hanno subito "detenzioni arbitrarie e maltrattamenti da parte della polizia". La distinzione tra richiedenti asilo e migranti regolari si è poi svolta senza alcuna base legale e con troppa fretta, senza tenere conto delle condizioni psicofisiche di chi ha affrontato viaggi duri e pericolosi, e adeguate documentazioni.

Criticità

Si sono dunque verificate una serie di espulsioni nei confronti di individui senza documenti e soldi, i quali si sono ritrovati, così, senza alcuna assistenza e vulnerabili agli abusi e allo sfruttamento. Inoltre, gli accordi bilaterali stretti dall’Italia prevedono il rimpatrio in alcuni Paesi - come il Sudan-dove sono perpetrate "orribili atrocità".

La strada da seguire

Amnesty International auspica che l’Italia, per porre fine alle violazioni di diritti umani, fornisca indicazioni alla polizia su un uso minimo della violenza, anche in casi di maggiore resistenza, attraverso altre forme di risposta. Bisognerebbe aumentare il monitoraggio delle procedure e indagare a fondo sugli abusi. In più sarebbe consono rimandare le procedure di identificazioneper evitare cheavvengano immediatamente dopo gli sbarchi, e si ritiene necessario che i commissari abbiano il maggior numero possibile di informazioni. Le espulsioni, inoltre, devono essere motivate in base a situazioni individuali, anche senza richieste di asilo, se nel Paese di rimpatrio non sono garantiti i diritti umani basilari.

Compiti dei governi

Compiti dei governi, per Amnesty, sono la responsabilità di promuovere la difesa dei diritti umani e la revisione del sistema di Dublino sull’identificazione nel Paese di primo accesso. Dovrebbe essere promossa l’uniformità di protezione e assistenza in tutto il continente, con liberi spostamenti all’interno di esso. Infine, l’istituzione di canali regolari, che consentano di trovare un luogo sicuro senza rischiare la vita. "La solidarietà europea sta fallendo, a caro prezzo per i diritti di rifugiati e migranti", conclude Amnesty.