Quella che comincia ad emergere dall’inchiesta avviata dai pm di Napoli Herry John Woodcock, Enrica Parascandolo e Celeste Carrano sulla presunta corruzione nella Consip è una melma gelatinosa di rapporti occulti e scambi di favori finalizzati all’aggiudicazione illegale di appalti. Coinvolti il numero uno di Consip (società del ministero dell’Economia che gestisce tutti i grandi appalti di acquisto della Pubblica Amministrazione) Luigi Marroni (nominato dal governo Renzi, non indagato), il dirigente Marco Gasparri, gli imprenditori Alfredo Romeo (finanziatore di Renzi nel 2012 e già noto alle cronache giudiziarie) e Carlo Russo, entrambi amici di Tiziano Renzi (non indagato), papà di Matteo.

Come rivela oggi il Fatto Quotidiano, secondo i pm napoletani, a coprire i loro sporchi affari, rivelando la presenza di microspie all’interno degli uffici Consip, sarebbero stati il presidente dell’ente Luigi Ferrara, ma soprattutto, Emanuele Saltalamacchia (comandante dei Carabinieri della Toscana), Tullio Del Sette (comandante generale dell’Arma dei CC) e Luca Lotti (ex sottosegretrio, attualmente ministro dello Sport, legato a doppio filo alla famiglia Renzi). Tutti indagati per favoreggiamento e rivelazione di segreto investigativo.

I particolari dell’inchiesta Consip

Ricapitolando. La procura di Napoli sospetta che l’imprenditore Romeo abbia corrotto il dirigente Consip Marco Gasparri allo scopo di aggiudicarsi il più grande appalto attualmente aperto in Europa, il facility management 4 da 2,7 miliardi di euro per forniture varie all’Università e alla PA.

Il tutto grazie all’intercessione del giovane Russo e alla disponibilità di Marroni il quale, avvertito da una gola profonda (questa l’ipotesi investigativa), poche settimane fa ordina di bonificare il suo ufficio dalle microspie fatte piazzare appena due giorni prima da Woodcock. Sarà proprio Marroni (ex assessore alla Sanità toscana, amico di Lotti), messo sotto torchio dagli inquirenti, a fare il nome di Ferrara.

Questa rivelazione avvia una reazione a catena nella lingua di Marroni che porta all’iscrizione nel registro degli indagati di tre pezzi, uno più grosso dell’altro, come Saltalamacchia, Del Sette e Lotti, tutti sospettati di essere gli autori della soffiata che ha messo in allarme i vertici Consip.

I reati ascritti alla ‘banda’ sono quelli di favoreggiamento e rivelazione di segreto investigativo.

Questo filone di inchiesta, non quello sulla corruzione, ora è finito dritto dritto nelle mani di Giuseppe Pignatone, capo della procura di Roma, nota in passato con l’appellativo di ‘porto delle nebbie’. Gli indagati, Lotti compreso, per il momento tacciono o negano ogni addebito, ma il nodo della vicenda è comprendere perché tante persone vicine a Renzi si sarebbero interessate della vicenda Consip. A questo proposito, si chiede retoricamente Marco Travaglio, perché “si mobilitano, rischiando le rispettive carriere, due generaloni e il ministro Lotti”?. Forse, questa la risposta che si dà il direttore del Fatto, “non è per salvare due anonimi dirigenti Consip, ma perché c’è di mezzo il padre del politico più potente d’Italia”.