Da qualche ora il diario del profilo Facebook di Ilaria cucchi è stato letteralmente sommerso da centinaia di post di solidarietà, giubilo e speranza per la notizia della svolta nell’inchiesta sull’arresto e la morte del fratello Stefano, avvenuti nell’ottobre del 2009. Lei commenta: “Finalmente si parla della verità”. La procura di Roma, guidata da Giuseppe Pignatone, ha concluso l’inchiesta bis (che precede il rinvio a giudizio) chiamando finalmente in causa i carabinieri che eseguirono il fermo per detenzione di droga: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco.

Coloro i quali, secondo l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Repici, dovevano essere indicati da subito come i responsabili della morte violenta di Stefano. Omicidio preterintenzionale e abuso di autorità, sono le accuse pesantissime mosse da piazzale Clodio.

Il contenuto dell’avviso di conclusione delle indagini

Come detto, gli accusati di omicidio preterintenzionale e abuso di autorità sono i tre carabinieri Di Bernardo, D’Alessandro e Tedesco. Ma ad essere indagati per falso e calunnia sono lo stesso Tedesco, un altro militare Vincenzo Nicolardi e il comandante della stazione Roma Appia dell’epoca Roberto Mandolini. Questi ultimi, secondo l’accusa, la notte del 15 ottobre 2009 cercarono di coprire il pestaggio, attestando “falsamente” (da qui il reato di falso) l’avvenuta identificazione di un Cucchi ritenuto “non collaborativo all'operazione”.

Gli stessi carabinieri, non avendo messo a verbale la presunta resistenza opposta dal giovane, avrebbero affermato, altrettanto “falsamente”, che lo stesso si sarebbe rifiutato di nominare un avvocato di sua fiducia. Inoltre, sempre i membri dell’Arma, sono accusati di calunnia perché, durante il processo in corte d’Assise, dove erano imputati tre agenti della Polizia Penitenziaria (poi assolti), “affermando il falso in merito a quanto accaduto nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009”, accusavano implicitamente i colleghi, “pur sapendoli innocenti”, del pestaggio inflitto a Cucchi.

Per quanto riguarda le accuse mosse ai tre cc, il decesso del Cucchi fu provocato dalle “lesioni procurate” dagli agenti. Stefano, inoltre, si legge nel documento firmato da Pignatone e da Giovanni Musaro, “durante la degenza presso l’ospedale Sandro Pertini subiva un notevole calo ponderale anche perché non si alimentava correttamente a causa e in ragione del trauma subito”.

Concause che, dunque, “ne cagionavano la morte”. Secondo i magistrati romani Stefano fu pestato con “schiaffi, pugni e calci”. Azione che ne procurò la caduta facendogli sbattere la regione lombo-sacrale.

Lesioni guaribili in 180 giorni, forse permanenti, ma che, invece, complice la “condotta omissiva” dei medici dell’ospedale Pertini, ne provocarono il decesso. Causa medica delle successive complicazioni alla vescica fu la frattura scomposta della vertebra S4. Una morte iniqua amplificata anche dal fatto che tutto accadde per “futili motivi” frutto dell’abuso di potere commesso dai suoi, ancora presunti, aguzzini.