Curiosi contrasti in un Paese che relega le donne ai margini della società, salvo poi promuoverle in ruoli di dirigenza. L'Arabia Saudita è, attualmente, l'unico paese al mondo dove le donne non possono guidare l'automobile - pena l'arresto e, fino a qualche anno fa, la fustigazione - e sono controllate a vista dai parenti maschi anche per andare dal medico. Nonostante ciò, nel Paese arabo è stata nominata Sarah al-Suhaimi alla guida della Borsa di Riad, un mercato azionario che muove 439 miliardi di dollari l'anno, seconda piazza a livello regionale e 21esima al mondo.
Una donna alla guida della Borsa di Riad
Ha talento e molteplici competenze Sarah al-Suhaimi, donna tra le più autorevoli e conosciute nel mondo della finanza e delle banche del regno ultraconservatore wahhabita: è la prima volta che la dirigenza di un'istituzione governativa tanto importante, quale la Borsa di Riad, si tinge di rosa.
Può darsi che nel regime di tutoraggio femminile in vigore in Arabia Saudita, Sarah debba andare al lavoro accompagnata dal marito o da figure parentali maschili. Nonostante ciò questa donna, laureata alla King Saud University con una specializzazione in contabilità, e con un passato alla Harvard Business School per seguire il General Management Program, ha ottenuto questo impegnativo e prestigioso incarico.
Già nel 2014 era stata la prima donna nella storia saudita a diventare dirigente della Ncb capital, la principale banca di investimenti del Paese.
Ancor prima di questo incarico, aveva lavorato al Jadwa Investment e al Samba Financial Group per gestire un patrimonio di miliardi di azioni, pubbliche e private, immobiliare e reddito fisso. Nel settembre 2016 era stata scelta, con altre 16 persone, come componente del comitato consultivo della Borsa.
Al Samba Financial Group ora è stata chiamata un'altra donna come nuovo amministratore delegato. Si tratta di Rania Mahmoud Nashar, che vanta un'esperienza ventennale nel settore, ed è una specialista nella lotta contro il riciclaggio. Queste nomine si inseriscono nel lento cammino della società saudita verso il riconoscimento di diritti e libertà femminili.
Le donne che lavorano nel settore finanziario stanno conquistando, sia pure a fatica e in tempi lunghi, autonomia e spazi dirigenziali, grazie agli investimenti governativi che consentono di studiare e, in molti casi, di specializzarsi all'estero.
Arabia Saudita, la faticosa emancipazione femminile
Nel Paese islamico vige il cosiddetto sistema di tutela maschile, che non permette alle donne di fare cose considerate ovvie nel mondo occidentale (guidare l'auto, lasciare la casa e il Paese), se non accompagnate da un parente maschio. Anche per essere sottoposte a delle cure mediche, devono essere autorizzate da un uomo di famiglia.
Lo scorso settembre, centinaia di donne saudite hanno firmato una petizione per chiedere la fine della tutela maschile.
Solo da qualche anno hanno conquistato il diritto di votare ed essere votate alle elezioni municipali. Tutto ciò solo dopo le proteste sui media, che hanno portato il defunto re Abdullah bin Abdulaziz a fare tali concessioni, confermate dal fratellastro Salman, ora al trono. L'ex sovrano, inoltre, riconobbe alle donne la possibilità di soggiornare negli alberghi senza il permesso del coniuge, garantendo la libertà di spostarsi e viaggiare. Ma mentre alcune rappresentanti dell'universo femminile riescono ad imporsi come leader aziendali, restrizioni e limiti continuano ancora a condizionare la vita quotidiana.
La riforma sociale ed economica, però, è nell'aria: per ovviare alla diminuzione delle entrate petrolifere, si sta pensando di aprire il mondo del lavoro anche alle donne.
Nel terzo trimestre dello scorso anno, il tasso di disoccupazione delle donne saudite era del 35%, contro il 5,7% maschile.
Entro il 2020 il regno saudita punta a far salire la percentuale delle lavoratrici dal 23% del 2016 al 28%. L'emancipazione femminile, insomma, è una tappa obbligata: è l'economia a imporla.