La guerra che il governo di Ankara sta conducendo contro il popolo kurdo continua a svolgersi sia fuori che dentro i confini. All’altezza dei cantoni di Kobane ed Efrin, nel nord della Siria, è in via di costruzione un muro che separa la linea di confine tra i due paesi. Gli sconfinamenti nella zona kurda, in quella striscia autoproclamatasi regione autonoma del Rojava, provocano continui combattimenti, come quello di lunedì 13 febbraio. Lo stesso giorno, questa volta dentro i confini del paese, la polizia ha condotto in diverse provincie “raid simultanei”, come li descrive l’agenzia nazionale Anadolu, arrestando centinaia di persone affiliate al PKK e non solo.

La difesa delle donne kurde

E’ l’agenzia Ara News a riportare la notizia dei nuovi scontri militari innescati dallo sconfinamento dell’esercito turco verso la città di Amuda, governatorato di al-Hasaka, nel nord-est della Siria, città a maggioranza kurda e assira, dentro quella striscia di terra che rappresenta il Kurdistan siriano chiamato Rojava. Più precisamente l’esercito turco è penetrato nelle vicinanze del villaggio di Kharza a 10 chilometri a ovest da Amuda. Ad attenderli vi era una unità YPJ, “Unità di Difesa delle Donne” il gruppo militare kurdo formato da sole donne che ha contribuito a liberare il nord della Siria dall’invasione dell’Isis. Solo due soldatesse ferite nel conflitto.

Dopo tre ore di scontri le truppe turche si sono ritirate oltrepassando il confine. Questo ultimo scontro avviene dopo il bombardamento di una settimana fa nel quartiere kurdo di Afrin.

Gli arresti alle porte del referendum

Dentro i confini del paese il governo di Ankara continua invece la sua azione repressiva contro il PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan, il cui leader è Abdullah Öcalan, prigioniero da anni delle galere turche.

Sono state attivate azioni di polizia in 37 provincie con 837 arresti. Secondo quanto riportato da al-Jazeera la polizia avrebbe dichiarato di aver sequestrato kalashnikov, pistole, fucili e munizioni. Una operazione in grande stile figlia dello stato di emergenza che vige nel paese dopo il tentato golpe dell’estate scorsa, e in attesa dello svolgimento del referendum costituzionale che si terra il 16 aprile per trasformare la Turchia in repubblica presidenziale.

In realtà tra le fila degli arrestati ci sono esponenti del Partito democratico popolare pro-kurdo, HDP, presente all’interno del parlamento turco, come denunciano i loro dirigenti. Negli ultimi due giorni sarebbero circa 300 gli arrestati, tra membri e dirigenti, per un totale di 1200 da quando è in vigore lo stato di emergenza. In una nota del comitato esecutivo dell’organizzazione politica si legge che l’obiettivo di questa operazione di polizia è quella di tenere il referendum senza la presenza dell’HDP.