Rapina, estorsione, traffico di droga, resistenza a pubblico ufficiale: questi sono i capi di accusa che pendono sulla testa di ventisei ultras della società calcistica Atalanta. Tra gli arrestati ci sarebbe addirittura il figlio di un magistrato. Circa cento poliziotti stanno, dall'alba di questa mattina, dando seguito alle misure cautelari firmate dal giudice delle indagini preliminari, sia in città che in provincia. Sulla base di un'ampia inchiesta su cui stanno lavorando da tempo la procura e la Squadra Mobile di Bergamo, supportate dal Servizio Centrale Operativo della polizia di Stato, ci sarebbero per l'appunto state rapine, tentativi di estorsione, come anche spedizioni punitive finalizzate al recupero di crediti provenienti dalle attività di spaccio.

E non solo.

Spaccio e consumo di cocaina sarebbero diventate pratiche consuetudinarie prima di ogni partita giocata dall'Atalanta. Tutto questo è stato ripreso da una serie di micro-telecamere piazzate dagli investigatori in posizioni strategiche.

L'operazione "Mai una gioia"

L'operazione, soprannominata "Mai una gioia", un motivo riportato anche in uno striscione che è stato esposto allo stadio e che è diventato una sorta di mantra all'interno della tifoseria bergamasca, è iniziata nel settembre 2015. La Squadra Mobile di Bergamo ci sta lavorando quindi da un anno e mezzo. Che gli ultras dell'Atalanta non siano mai stati caratterizzati da comportamenti orientati alla disciplina è dimostrato da quanto avvenne il 6 gennaio 2016 al termine della partita Atalanta-Inter, con degli scontri che diedero adito a dure prese di posizione censorie da parte dell'opinione pubblica.

Ma le notizie che stanno venendo a galla solo oggi vanno oltre.

Gli arresti

Le persone arrestate sono sia italiane che straniere; uno di loro avrebbe origini serbe, l'altro albanese. Tra gli indagati risulterebbero anche un 73enne e un 63enne, come anche il figlio di un magistrato. Le misure cautelari firmate dal giudice sono dunque indirizzate verso una ventina di persone all'incirca: undici di questi finiranno in carcere, mentre le altre nove saranno soggette ad altri provvedimenti (tra obblighi di firma e domiciliari).