Avrebbero dovuto svolgersi ieri e invece sono stati rinviati a data da destinarsi, i funerali di Maria Rita Logiudice, 25 anni, figlia di Giovanni Logiudice, esponente della 'Ndrangheta come gli zii Luciano e il boss pentito Nino oggi collaboratore di giustizia. La ragazza domenica scorsa si è suicidata lanciandosi dal balcone dell'abitazione di Reggio Calabria in cui viveva con la madre. La famiglia ha chiesto che venga fatta l'autopsia.

Ombre sul suicidio, la richiesta dell'autopsia

Impossibile da accettare il suicidio di un figlio, sempre e comunque.

Ma per la mamma di Maria Rita nel gesto estremo della figlia, qualcosa non torna. La ragazza non ha lasciato un biglietto per spiegare ciò che ha fatto. Come riferito dall'avvocato Renato Russo che assiste la famiglia, la mamma la sera prima del suicidio l'ha vista in condizioni che ha definito strane, alterate; dettaglio che le è rimasto impresso perché la ragazza non fumava, ma teme sia stata indotta ad assumere stupefacenti.

Per questo è stato presentato un esposto in Procura chiedendo venga fatta l'autopsia: richiesta accolta dai magistrati che l'hanno disposta. Mentre sono in corso anche accertamenti dei carabinieri. Maria Rita, come spiegato dalll'avvocato, non aveva mai rinnegato il padre né disconosciuto la famiglia: si interessava delle vicende giudiziarie, pur sentendosi diversa dai parenti.

L'impegno per un riscatto ma un fardello troppo pesante da portare

Maria Rita ce l'aveva messa tutta. E a guardare il suo profilo Facebook e la carrellata di foto pubblicate, era fiera di aver contrapposto alla 'cultura' mafiosa, la cultura del diritto; di aver preso a pieni voti la laurea in giurisprudenza lo scorso ottobre.

Nelle immagini del suo profilo, tiene la sua tesi rilegata in pelle rossa nel giorno che doveva essere di festa: ma il suo sguardo delicato pare offuscato da una specie di tristezza.

Si era tanto impegnata per il riscatto, per emanciparsi da un destino già dato, per essere come voleva: diversa dal contesto ambientale e familiare.

Perciò, dopo la laurea, aveva deciso di restare in ambito universitario e con colleghi e docenti era partita per Francoforte e Bruxelles: un viaggio di istruzione nelle città che ospitano istituzioni dell'unione europea. Avrebbe potuto trovare una via di libertà all'estero, fuori da Reggio Calabria dove il suo nome evoca la 'ndrangheta, al riparo dal pregiudizio sociale che la opprimeva. Ma il peso dell'eredità familiare, evidentemente, deve essere stato schiacciante, insopportabile e non ce l'ha fatta.

Il mondo giudiziario e politico scosso dal gesto di Maria Rita

Per il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, il gesto di Maria Rita è un episodio gravissimo che tocca la coscienza di tutti e racconta una sconfitta collettiva: "Se c'è una ragazza che si è fatta strada nella vita scolastica per la propria onestà, ha conseguito una laurea che è strumento per sottrarsi alla famiglia di 'ndrangheta di cui fa parte e non siamo capaci di integrarla abbiamo perso tutti quanti", ha detto.

E nel 'mea culpa' ha aggiunto: "l’abbiamo persa perché non abbiamo avuto la sensibilità di comprendere che vi sono momenti in cui tutti devono concorrere".

"Questa storia drammatica, i cui contorni devono essere chiariti, riporta l’attenzione sugli strumenti che lo Stato offre a chi voglia tagliare i ponti con famiglie pesantemente compromesse col crimine organizzato di stampo mafioso“, ha commentato il deputato Pd Davide Mattiello, membro della Commissione Antimafia.