Mentre è ancora fresca la notizia del coinvolgimento della 'Ndrangheta nell'affare migranti e risuona ancora lo scandalo del trattamento a loro riservato da parte dell'Ungheria, arriva un'altra denuncia alla libia, che parte dall'inchiesta aperta da Repubblica. Molte delle persone che partono dalla propria patria, si ritrovano ad affrontare viaggi più o meno lunghi, la cui destinazione è una sola: la Libia. Qui non sempre trovano quel che si aspettano o che hanno sognato durante il viaggio nel deserto, ma maltrattamenti, schiavitù e torture.

Il lungo viaggio

Partono tutti dalla propria città di origine e si spingono verso stati come il Niger, di cui possono usufruire come trampolino di lancio per il deserto. Già da qui, però, le cose non vanno per il verso giusto, dati i problemi che sorgono con le forze di polizia. Queste, infatti, solitamente corrotte o senza un controllo, tendono a rapinare i migranti, i viaggiatori o anche i propri connazionali in procinto di partire. Alle volte usano la violenza, cercando di togliere loro tutto, mentre altre volte li tengono bloccati alle stazioni per ore se non giorni.

Una volta che si è riusciti a partire per la traversata del deserto, il viaggio si prospetta ancora lungo e rischioso. La gran parte dei migranti viene caricata su camion o suv zeppi e trasportata senza sosta lungo il deserto.

Durante il viaggio si ritrovano tutti spalla a spalla, alle volte senza la possibilità di sedersi. Molti non ce la fanno, ma gli altri riescono ad arrivare alla meta tanto ambita, la Libia, da cui sperano di partire alla volta dell'Europa.

La Libia

In Libia, i migranti vengono sottomessi e schiavizzati. Molte volte sono costretti a trovarsi un lavoro poco retribuito, a imparare la lingua del posto e a sopportare le continue ingiustizie e violenze nei loro confronti e nei confronti dei propri connazionali.

Altre volte, invece, vengono portati in quelli che non sono altro che mercati di schiavi, dove vengono comprati da arabi e libici e trasportati in carceri o case. Da qui in poi è un vero terrore: molti vengono picchiati non solo a calci e pugni, ma anche con armi contundenti. Gli schiavisti chiedono loro soldi in cambio di libertà, denaro che i migranti devono farsi mandare dalle proprie famiglie rimaste nel paese di origine.

I loro padroni, inoltre, li costringono a lavori forzati di tutti i tipi, molte volte senza un vero e proprio stipendio.

E dopo la Libia?

Alcuni migranti, che molti chiamano “fortunati”, riescono a salire sui barconi delle coste libiche, poco controllate dalle forze dell'ordine. Altri, invece, vengono presi in procinto di andarsene, imprigionati di nuovo in celle, dove arrivano ad esservi rinchiusi fino a 200 persone, senza la possibilità nemmeno di sdraiarsi per dormire, di uscire o di mettersi in contatto con la propria famiglia. Infine, ce ne sono alcuni che ritornano indietro, nel loro paese, con il marchio e il peso di aver compiuto un'impresa fallimentare, sprecando il denaro e i sacrifici della propria famiglia. Questa soluzione è la meno ponderata da tutti i migranti, poiché per molti è meglio rischiare di morire nel deserto, in Libia come schiavo o nel mare, che tornare indietro dalle loro famiglie.