Morire per un cappellino su un gommone di migranti mentre si è alla disperata ricerca di salvezza. Un berretto da baseball era tutto ciò che possedeva un ragazzo di 21 anni della Sierra Leone, caricato da uno scafista su una spiaggia in Libia, per affrontare una rischiosa traversata con la speranza di una vita migliore.

Quel ragazzo non ha voluto consegnare il suo 'tesoro' a un trafficante, ed è stato ucciso a bordo di un gommone. Il suo corpo, rimasto un giorno sul fondo del natante, è stato recuperato con altri 394 migranti dalla nave Phoenix della ong Moas, una delle organizzazioni non governative al centro delle recenti polemiche, sbarcata ieri mattina al porto di Catania.

Cosa può essere accaduto sul gommone della morte

Questa è una storiaccia amarissima, tra le tante che purtroppo affollano le cronache delle migrazioni. In una realtà, quelle delle traversate clandestine, in cui i figli della povertà, della fame e della guerra, mettono in conto di poter morire in ogni istante, succede anche che si venga uccisi per un berretto. Cosa sia accaduto esattamente sul gommone della morte, forse lo chiarirà il fratello che ha vegliato tutta la notte il corpo del ragazzo di 21 anni, originario della Sierra Leone. Di sicuro, come confermato dal medico legale che al porto di Catania ha fatto un primo esame, il cadavere presenta almeno un foro provocato da un colpo d'arma da fuoco.

Intanto, a raccontare i fatti è Regina Catrambone, fondatrice con il marito del Moas, l'Ong che ieri ha soccorso in mare e salvato 394 migranti, e trasportato sulla nave Phoenix anche il cadavere del ragazzo. A lei alcuni migranti hanno raccontato che uno scafista ha intimato in arabo al ragazzo ucciso di levarsi il cappellino da baseball e consegnarglielo.

Ma la vittima e suo fratello non lo capivano perché parlavano solo inglese.

Le richieste da parte del trafficante si sono fatte più insistenti, finché gli ha strappato il berretto dalla testa. Allora il ragazzo ha reagito, alzandosi e protestando. Il trafficante, imbracciata un'arma, una pistola o forse un fucile, gli ha sparato.

Sull'accaduto sono in corso indagini delegate dalla procura di Catania alla squadra mobile che ascolterà il fratello e altri migranti per avere conferma di quanto accaduto. La magistratura ha disposto l'autopsia.

Migranti e ong, la Moas al centro delle polemiche

La Moas, acronimo di Migrant Offshore Aid Station, è l'organizzazione senza fini di lucro impegnata a soccorrere vite in mare fondata da Regina Catrambone e da suo marito che ieri ha salvato e portato nel porto di Catania 394 migranti, tra cui mamme con bambini, il più piccolo di tre mesi, e il corpo del migrante morto. La Ong è tra quelle al centro delle polemiche su cui si sono concentrati i sospetti del procuratore Carmelo Zuccaro.

Regina Catrambone, mentre nel porto di Catania erano in corso le operazioni di sbarco dei migranti, ha detto che ben vengano le inchieste se servono a sgombrare il campo da sospetti, per quanto infondati, ma sono inammissibili gli stillicidi mediatici.

La donna ha invitato a distinguere tra i trafficanti veri e chi salva la vita in mare, sottolineando di non avere mai avuto contatti con scafisti, ma solo con la Guardia Costiera e la Marina militare italiane. Ha detto che c'è in corso una strumentalizzazione da parte dei partiti politici per una manciata di voti in più, denigrando chi, rispondendo all'appello dell'Europa, ha il solo intento di salvare vite. Catambrone è pronta a consegnare i conti dell'Ong alla Procura, se ne faccia richiesta, purché restino riservati.