Continuano ad uscire con il contagocce le intercettazioni ambientali effettuate in carcere nei confronti di Giuseppe Graviano. Ma le rivelazioni involontarie (?) del boss mafioso di Brancaccio, condannato per le stragi del 1992-93, sono un susseguirsi di colpi di scena clamorosi. Graviano, il 24 settembre 2016 nel carcere di Ascoli Piceno, racconta al suo compagno detenuto, il camorrista Umberto Adinolfi, che nel febbraio 1992 8 killer di Cosa Nostra, tra cui lui stesso, andarono a Roma su ordine di Totò Riina per uccidere Giovanni Falcone. Nell’occasione, assistettero anche ad una puntata del Maurizio Costanzo Show con ospite proprio il giudice palermitano che avrebbe trovato la morte pochi mesi dopo nell’attentato di Capaci.

Ma le ‘bombe’ del boss riguardano anche i presunti rapporti tra Matteo Messina Denaro e il senatore di Forza Italia Antonio D’Alì e l’incontro tra l’ideologo della Lega Nord, Gianfranco Miglio, e il boss catanese Nitto Santapaola.

La mafia al Costanzo Show

Dunque, secondo il racconto di Graviano, nel febbraio 1992 lui e altri 7 killer di Cosa Nostra (tra i quali gli attuali pentiti Francesco Geraci e Vincenzo Sinacori, e due ‘picciotti’ di Brancaccio Renzino Tinnirello e Fifetto Cannella) furono spediti a Roma con il compito di uccidere Falcone. Il gruppo di fuoco commise anche degli errori grossolani, come scambiare il ristorante ‘Il Matriciano’ situato nel quartiere Prati con ‘La Carbonara’ di Campo dei Fiori, dove effettivamente il giudice si recò più volte a mangiare.

I mafiosi frequentarono discoteche e locali chic, fino ad assistere tra il pubblico persino ad una puntata del Maurizio Costanzo Show al teatro Parioli con ospite proprio Falcone. Alla fine, però, il 4 marzo, Riina ordinò il rientro in Sicilia: il 12 marzo sarebbe toccato al politico Dc Salvo Lima il ruolo di prima vittima della stagione stragista.

Il ruolo di Matteo Messina Denaro e i rapporti col senatore D’Alì

Graviano confida al suo ‘compagno di socialità’ che fu Matteo Messina Denaro, il boss di Castelvetrano latitante da 24 anni, a caricare una macchina diretta a Roma con armi di ogni tipo: kalashnikov, mitra, revolver ed esplosivo. Lo stesso Messina Denaro che, secondo il boss di Brancaccio, sarebbe tuttora favorito nella sua secolare latitanza dal senatore di Forza Italia Antonio D’Alì, appena uscito perdente dalle discusse elezioni a sindaco di Trapani (dove era costretto al soggiorno obbligato) e da anni sospettato di intrattenere stretti rapporti familiari con il mafioso di Castelvetrano, anche se assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

“C’è quello trapanese D’Alia (D’Alì ndr), quello con gli occhi graziosi” che è legato in maniera molto stretta a “quello che cercano”, dice sottovoce Graviano ad Adinolfi, aggiungendo di essere “convinto che sta lavorando per qualche cosa di positivo”.

L’incontro Miglio-Santapaola

Graviano parla anche di Gianfranco Miglio, l’ideologo della Lega bossiana da tempo scomparso, che “è sceso in Sicilia perché aveva un bel progetto” e “si incontrò pure con Nitto Santapaola”. Il progetto di Miglio, secondo il mafioso intercettato, era quello, noto pubblicamente, di dividere l’Italia in tre macro-regioni. E il professore, sostiene Graviano, avrebbe persino vergato una “dichiarazione autentica” che lui conserva ancora.