Un colpo di revolver calibro 38 sparato in bocca. Non è stato massacrato a sassate. Col passare delle ore, il mistero della morte di Giuseppe Stefano Di Negro, architetto 50enne di Sarzana, in provincia di La Spezia, trovato morto sabato scorso sul greto di un torrente, non è più tale. E se il finale presagito era già amaro, quello riscontrato lo è ancor di più: il professionista si è suicidato. Ad ucciderlo, non è stato un fantomatico assassino, ma un nemico invisibile, più subdolo: la Depressione. Prisca Gianfranchi, la moglie, conosceva la sua sofferenza e l'ha svelata agli inquirenti che ieri ancora vagavano tra presunte piste alla ricerca della verità.
A sgombrare il campo da ipotesi erronee, è stata anche l'autopsia.
L'autopsia e l'accertamento dei fatti
L'autopsia eseguita dal medico legale, Susanna Gamba, ha confermato l'ipotesi del suicidio. La testa martoriata dell'architetto presentava una ferita con avvallamento sull'occipite. Per questo, si era pensato a un omicidio d'impeto, a un colpo ricevuto con una pietra. E invece, il medico legale ha scoperto la presenza di un proiettile conficcato nel cranio dell'uomo. Sabato sera alle 20, quando è andato nella villetta dei genitori, Di Negro non ha preso nessuna stampa antica: quello era solo un pretesto da lui addotto per prelevare il revolver calibro 38 special di proprietà del suo anziano padre.
Con quell'arma, in una via perferica a due chilometri dalla casa dei genitori, si è sparato in bocca. Sulle sue mani, è stato eseguito lo stub, ovvero la prova del guanto di paraffina, per accertare che sia stato lui a premere il grilletto. Eppure ancora ieri restava un'ultima "anomalia": non era stata ritrovata l'arma nelle vicinanze del cadavere.
Ma anche questo "mistero" è stato risolto.
La pistola portata via da due balordi
Il dramma esistenziale di uomo dal rigore etico, è stato beffardamente corredato dall'intervento di due balordi. I due passanti che hanno scoperto il corpo dell'architetto e dato l'allarme, due ventenni della zona con piccoli precedenti per stupefacenti, sono gli stessi che poi, approfittando della confusione, hanno trafugato la pistola con l'intenzione di rivenderla.
E sono stati anche capaci di rovistare nel portafoglio della vittima. Ascoltati dalla polizia, hanno confessato, solo dopo molto ore, il loro gesto e riconsegnato l'arma che verrà sottoposta ad esami balistici per verificare la compatibilità rispetto alle ferite dell'architetto. E anche loro due saranno sottoposti al guanto di paraffina. Ora potrebbero essere accusati per aver inquinato la scena del crimine.
Parole rivelatrici
"La depressione è come un tumore. Non sono riuscita a salvarlo dall'abisso". Più sconvolgenti dei risultati dell'autopsia, le parole miste alle lacrime della moglie Prisca Giancarli hanno svelato la verità sulla morte dell'apprezzato professionista di Sarzana. "Sono sicura che si sia tolto la vita, stava male, non si sentiva più in grado di andare avanti", ha raccontato la donna.
Davanti agli inquirenti, ha ricostruito, sia pure straziata, cosa è accaduto sabato diradando così suggestioni di chi in città, nell'incredulità per l'accaduto, le ha pensate tutte. Non aveva appuntamento con nessuno Stefano sabato. Stava facendo una cura per la depressione, era in terapia da dieci anni, ma non aveva più voglia di vivere anche se ben dissimulava mostrando la maschera allegra. Aveva trascorso la giornata con la figlia e un'amichetta. Poi, a Prisca ha detto che doveva passare dai suoi. La moglie temeva, ha intuito qualcosa, ma non voleva soffocarlo. Lo ha aspettato a lungo, ma non è mai arrivato. Invece al campanello di casa ha suonato la polizia.