Aveva sorretto la bara di Trifone Ragone, il caporale dell'Esercito, suo commilitone, ucciso a colpi di arma da fuoco nel parcheggio del palasport di pordenone con la fidanzata Teresa Costanza la sera del 17 marzo 2015. Dopo una lunghissima camera di consiglio di due giorni in una caserma dell'aeronautica isolata da ogni interferenza esterna, oggi alle 15 e 40 la Corte d'Assise di Udine, al termine di 45 udienze, con tantissimi testimoni, periti e consulenti sentiti, ha condannato in primo grado Giosué Ruotolo per quel duplice omicidio. Condanna all'ergastolo e a due anni di isolamento diurno.

Un processo tutto indiziario, articolato e complesso, dove il movente è stato rintracciato nei sentimenti estremi dell'imputato: gelosia, invidia, odio. Alla lettura del verdetto da parte del presidente Angelica Di Silvestre, erano presenti le famiglie del militare di Bari, Trifone, e di Teresa, origine siciliane, laureata alla Bocconi di Milano, assicuratrice. Ruotolo, che si è sempre proclamato innocente, a testa bassa ha ascoltato il verdetto accanto ai suoi difensori. Su sua richiesta, non è stato ripreso durante la lettura della condanna.

La vicenda giudiziaria

Trifone Ragone di 29 anni e la fidanzata Teresa Costanzo, di 30 anni, furono freddati a colpi di arma da fuoco all'uscita della palestra di cui entrambi erano cultori, nell'auto di lei, una Suzuki, al parcheggio del palasport della città friulana.

Erano le 19 e 49 del 17 marzo 2015. Ruotolo, 28enne di Somma Vesuviana, commilitone ed ex coinquilino di Trifone, è stato da subito l'unico indagato, poi imputato, ed è in carcere dal 7 marzo del 2016. Mentre la sua fidanzata Rosaria, era stata posta ai domiciliari per favoreggiamento. La sentenza ha accolto in pieno le richieste del pm Umbero Vallerin che ha messo insieme elementi indiziari, in mancanza di una prova schiacciante.

Elementi quali, l'auto di Ruotolo, un Audi A 3, che era vicina al luogo del duplice omicidio, proprio nell'ora in cui è stato commesso. Aveva raccontato, mentendo, che a quell'ora era a casa. Poi l'arma del delitto, una Beretta 765, trovata nel settembre 2015 in un laghetto poco distante dal palasport. Infine, oltre alla rivalità professionale e personale con Trifone, all'odio insanabile e feroce, secondo l'accusa Ruotolo nutriva anche la gelosia verso la fidanzata: l'imputato aveva provocato Teresa attraverso un falso profilo social con minacce per farla litigare con Trifone.

Quindi c'era la paura di vedere il suo futuro andare in frantumi: Ruotolo aveva vinto il concorso in guardia di finanza, ma rischiava una denuncia per quelle minacce spedite dal wifi della stessa caserma dove prestava servizio Trifone. "E' il 1 grado di giudizio, il signor Ruotolo non è un condannato in via definitiva", hanno sottolineato i difensori Giuseppe Esposito di Napoli e Roberto Rigoni Stern di Vicenza. La difesa aveva puntato sull'assenza del movente, ma è stata scalzata dal fatto che, viceversa, non siano emersi elementi che abbiano scagionato Ruotolo.

Le mamme

Dopo la sentenza, le mamme di Trifone e Teresa, nel giorno più doloroso della loro vita dopo quello dell'omicidio, si sono lasciate andare a un pianto liberatorio.

Eleonora Ferrante, la mamma di Trifone ha detto: "noi la verità già lo conoscevamo, eravamo sicuri di ciò che era accaduto, anche perché è molto semplice. Trifone e Teresa non torneranno in vita, ciò che è stato commesso è irrimediabile, ma è giusto che l'autore di questo scempio paghi, si converta per redimersi e dica la verità. Carmelina Parello, mamma di Teresa ha aggiunto: "Penso sempre a lei, ringrazio tutti quelli che hanno lavorato a questo caso, compresi i giudici". Giosuè è stato portato nel carcere di Belluno. Aveva puntato tutto su un processo pubblico, sicuro di un'assoluzione piena. Così non è stato, per il momento c'è il carcere a vita.