Un momento che i genitori aspettavano da anni. L'avvio del processo, è già una vittoria. Il 3 agosto del 2011, la loro figlia, Martina Rossi, studentessa genovese in architettura che era a Palma di Majorca, precipitò dal sesto piano del balcone dell'Hotel Sant'Ana per sfuggire ad una violenza. Non fu un suicidio, come ritenuto inizialmente. Il processo comincerà il prossimo 13 febbraio 2018. Due suoi "amici", Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, ragazzi di Castiglion Fibocchi (Arezzo) oggi 26enni, che erano nell'albergo con lei, sono stati rinviati a giudizio.

In vista del processo

Gli inquirenti spagnoli archiviarono il caso, certi che si fosse trattato di un suicidio. Ma la procura di Genova ha riaperto il fascicolo e, dopo l'individuazione dei due indagati, il caso è passato per competenza territoriale ad Arezzo. Ieri il gup di Arezzo, Piergiorgio Ponticelli, ha rinviato a giudizio Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi che erano nell'albergo della tragedia, l'hotel Ana di Palma di Majorca, e che la vittima aveva conosciuto il giorno prima. In aula, oltre al difensore, erano presenti i caparbi genitori di Martina Rossi. Albertoni e Vanneschi sono accusati di tentata violenza e di aver provocato la morte di Martina come conseguenza dell'altro reato.

Il gup ha accolto la tesi del pm, Roberto Rossi: quando la ragazza cadde dal balcone stava fuggendo dai due che volevano abusare di lei. Voleva scavalcare il balcone per mettersi in salvo, per arrivare a quello della stanza adiacente, ma c'erano degli asciugamani bagnati stesi sulla ringhiera che le avrebbero fatto perdere la presa, facendola precipitare nel vuoto.

La difesa dei due accusati, ha sempre chiesto l'archiviazione, riferendosi alla testimonianza ritenuta rilevante di una cameriera dell'albergo. Dalla strada avrebbe visto la ragazza precipitare, convinta che si fosse buttata intenzionalmente.

L'indizio decisivo

Di elementi di prova in questi anni gli inquirenti ne hanno raccolti molti, a cominciare da quelli forniti da Bruno e Franca, instancabili genitori di Martina che al suicidio della loro figlia non hanno mai creduto.

Un indizio decisivo è rappresentato da un video che la trasmissione televisiva "Chi l'ha visto", da subito molto attenta al caso, ha mandato in onda. Albertoni e Vanneschi, in sala d'attesa negli uffici della Questura di Genova, ancora non indagati, bisbigliano tra loro, inconsapevoli che ci sia una microspia che li sta registrando. Sono contenti perché l'autopsia sul corpo della ragazza non ha riscontrato segni di violenza. In particolare, Alessandro fa un gesto di esultanza. Ancora non sono accusati di nulla, ma il loro comportamento fa intendere molte cose.

L'ostinazione dei genitori di Martina

Indagini sbrigative, confuse, gravi omissioni: questa la valutazione che papà Bruno e mamma Franca hanno fatto del lavoro degli inquirenti spagnoli.

All'uscita del tribunale di Arezzo, papà Bruno, tra le lacrime, ha condannato la grave mancanza emersa dal "comportamento inconcepibile" delle autorità spagnole, a cui si è aggiunto quello di "tutti coloro che erano con Martina che hanno nascosto la verità, anche con atti volontari, verità che era macroscopica". Quella tragica alba, infatti, la ragazza era nella stanza d'albergo dei due aretini in attesa che le sue amiche, uscite con altri 2 ragazzi arrivati a Maiorca con gli indagati, facessero ritorno. Grazie al loro lavoro, alla caparbia volontà di arrivare alla verità e di avere giustizia per la figlia, i genitori sono riusciti a far riaprire il caso dalla magistratura italiana. L'inizio del processo riapre la speranza.