Marco Vannini poteva essere salvato, se fosse stato soccorso in tempo e se fossero state fornite subito le informazioni utili e necessarie sul fatto che era stato accidentalmente raggiunto da un proiettile al braccio destro. L'attesissima 'superperizia' può essere l'elemento chiave per una svolta nel processo che vede accusata un'intera famiglia, quella dei Ciontoli, di omicidio volontario con eventuale dolo. Marco è morto a 20 anni, il 17 maggio 2015, ucciso da un colpo d'arma da fuoco sparato alle 23 e 15 mentre era in casa della fidanzata Martina.

Nella villetta di Ladispoli, a sparare è stato il padre della ragazza, Antonio Ciontoli, maresciallo della Marina che ha cambiato più volte versione dell'accaduto. I soccorsi furono tardivi perché nessuno dei 5 familiari imputati, coinvolti in una rete di omertà, bugie e reciproche coperture, li ha chiamati tempestivamente.

La perizia

La perizia collegiale disposta dalla Corte d'Assise di Roma, presieduta da Anna Argento e dal giudice a latere, Sandro Di Lorenzo, è stata depositata presso la cancelleria del tribunale dai professori Antonio Oliva, Francesco Alessandrini e Andrea Arcangeli. Il quesito che era stato posto era: Marco si poteva salvare se fossero stati chiamati i soccorsi in tempo, ovvero dopo che alle 23 e 15 era partito il colpo?

L'accusa di omicidio volontario con dolo eventuale, dunque, è per via di tutto il tempo trascorso in casa dall'intera famiglia senza chiamare i soccorsi mentre Marco che stava malissimo urlava, come si sente dalle registrazioni delle chiamate al 118. "In estrema sintesi - è scritto nella perizia - una tempestiva attivazione del corretto iter diagnostico-terapeutico avrebbe garantito al Vannini l’accesso ad un livello adeguato di cure ed allo stesso tempo contrastato l’insorgenza delle complicanze postoperatorie o delle sequele dello shock ipovolemico protratto, scongiurandone, con elevata probabilità, l’exitus“.

Invece, come testimoniato dalle registrazioni al 118, ci sono state due chiamate fatte dalla famiglia Ciontoli inquietanti. Nella prima, fatta dal figlio Federico e da sua madre, Maria Pezzillo, alle 23 e 43, hanno omesso di dire la verità: che un ragazzo in quella casa era stato raggiunto da un colpo d'arma da fuoco. Dopo poco, inoltre, la richiesta è stata annullata.

La seconda chiamata, a mezzanotte, è stata fatta Antonio Ciontoli che parlava di un ragazzo che ha aveva avuto un infortunio in vasca da bagno, e cadendo si sarebbe bucato un po' con un pettine. Anche lui ha omesso di dire la verità. Tutto questo tempo sarebbe servito ai familiari per pulire il bagno dal sangue e cancellare prove.

Nuovi interrogativi

Ma l'incidente è davvero accaduto in bagno? Se lo chiede la trasmissione "Chi l'ha visto?" che ieri durante la striscia quotidiana ha ospitato i genitori di Marco che nutrono forti dubbi sul fatto che il figlio potesse essere davvero in bagno, si stesse lavando nella vasca e avrebbe fatto entrare il padre della sua fidanzata Martina. I genitori, e soprattutto la mamma Marina, hanno sempre sostenuto che Marco non si sarebbe mai mostrato come mamma l'ha fatto.

Lo sparo sarebbe potuto partire da qualche altra parte. E invece Ciontoli, ha detto nell'ultimo interrogatorio di essere entrato in bagno per prelevare le pistole che erano nella scarpiera e di avergli sparato "per gioco". Dalla ricostruzione fatta dal programma del bagno di casa Ciontoli, lo spazio sembra così ridotto che avrebbe dovuto sparare con la mano sinistra. L'autopsia ha stabilito che Marco è stato colpito dall'alto verso il basso e da dietro verso avanti. Troppe sono ancora le domande irrisolte. Ora però, è certo che, se da quella casa fossero partite richieste di soccorso immediate, Marco oggi sarebbe vivo.