E' successo a Biella il 14 dicembre 2017, un uomo 40enne che aveva deciso di affittare un garage per patire meno il freddo stagionale, soprattutto del freddo serale caratterizzato da neve e gelo, è stato cacciato dagli inquilini che, prontamente, hanno chiamato l'intervento delle forze dell'ordine. L'uomo è stato cacciato dai carabinieri, con l'accusa di non usufruire del garage come da accordo contrattuale: infatti, il garage era stato affittato all'uomo come spazio in cui depositare i propri oggetti e attrezzi. Gli inquilini, venendo a conoscenza della presenza dell'uomo e scoprendo che l'uso del box era differente da quello inizialmente dichiarato, hanno deciso di intervenire, non gradendo la presenza del clochard all'interno del proprio palazzo.

La padrona del garage, infatti, ha sciolto nella mattina del 14 dicembre 2017 l'accordo contrattuale che la legava con il clochard, facendosi restituire le chiavi del garage.

La discriminazione del diverso, il razzismo verso la diversità dello status socioeconomico: 'Aporofobia'

Il mondo globalizzato contemporaneo indirizza la morale umana verso un atteggiamento di integrazione e convivenza pacifica tra etnie, culture e religioni differenti, con principi basilari che permettono l'accettazione della diversità. Tuttavia, la pura formalità della morale contemporanea ha soltanto eclissato ciò che realmente continua a sussistere nel reale, con strategie sottili e, forse, con una forza d'impatto maggiore rispetto ad altre epoche storiche: il razzismo.

Le politiche delle istituzioni contemporanee producono una forma di sapere che viene integrata nella psiche dell'individuo, al fine di poter accettare la diversità. Il razzismo, oggi, sembra quasi estinto nelle società più evolute, e chi commette un qualunque atto razzista viene definito come "retrogrado", e l'atto in sé come deplorevole.

Molto spesso, tuttavia, nell'uomo comune il razzismo opera a livelli più interni, nascosti, in quanto la possibilità di commettere un comportamento razzista è stato ridotto dal codice etico contemporaneo, rendendolo distante dalla quotidianità del cittadino comune. Ma, allora, cosa accade quando i fattori che producono un ambiente fertile per il comportamento razzista toccano personalmente la propria quotidianità?

Un presupposto basilare da considerare per poter rispondere a tal quesito, è che gli atteggiamenti, i pensieri, non sempre corrispondono all'agire umano: non è possibile affermare che un atteggiamento sia predittivo di un comportamento futuro. Ne è esempio il caso di cronaca nel biellese del chochard qui riportato, infatti, nessun comportamento razzista era stato prima riportato in quel contesto, e soltanto a conoscenza avvenuta il clochard è stato cacciato via dal palazzo dagli inquilini. Un celebre esperimento fornito dalla Psicologia sociale è quello dello psicologo La Piere, nel 1934, che ha girato negli Stati Uniti con dei coniugi cinesi e soltanto un albergo su 66 non ha dato loro le stanze.

Poi, agli stessi albergatori, LaPiere ha mandato un questionario chiedendo se nel loro albergo avrebbero ospitato cinesi, venendo a conoscenza che nel 92 % dei casi, questi, hanno compilato il questionario in un'ottica razzista, affermando che non avrebbero ospitato clienti cinesi. Questo famoso paradigma sperimentale evidenzia la distanza che viene a crearsi tra atteggiamento e comportamento. Bisogna, però, attuare un'utile differenziazione tra il razzismo contemporaneo e quello delle passate epoche storiche. Se, nel passato, era l'atteggiamento - e quindi il pensiero - ad essere razzista, attualmente, invece, è il comportamento ad essere razzista, con un atteggiamento implicito che lavora a livello inconscio, che gli psicologi definiscono come pregiudizio latente.

E' probabile, infatti, poter ascoltare individui che usano tali frasi: “Io non sono razzista, ma..”. Esplicitare in prima battuta l’atteggiamento non razzista rende più facile, al locutore, giustificare e rendere accettabili le pratiche personali e collettive del razzismo. Baumann - psicologo sociale - definisce il razzismo come la convinzione che una certa categoria di esseri umani non possa essere incorporata nell’ordine razionale, per quanti sforzi si facciano in questo senso. Il razzismo nasce infatti da una falsa generalizzazione, che produce il pregiudizio, ciò che Allport - studioso che ha lasciato una vasta eredità al campo di studi della psicologia - definì come un’antipatia fondata su una generalizzazione falsa e inflessibile.

Può essere sentito implicitamente o espresso. Può essere diretto verso un gruppo nel suo complesso, o verso un individuo in quanto membro di quel gruppo”. Dunque, il caso del clochard, è una vera e propria forma di pregiudizio latente innescato dal razzismo contemporaneo, ma è, soprattutto, una specifica forma di razzismo dei popoli all'interno delle società contemporanee, la discriminazione e il pregiudizio razziale verso il povero, rivolto al diverso da sè e dal proprio status: L'aporofobia.

Aporofobia: atteggiamenti e comportamenti ostili verso il povero

L'aporofobia è una fobia caratterizzata dalla paura per la povertà o per i poveri in sè. Essa è possibile interpretarla come una specifica forma di razzismo caratterizzata da sentimenti, atteggiamenti e comportamenti come ripugnanza o ostilità di fronte al povero o all'indifeso.

Se i riflette su quanto sia comune al giorno d'oggi la possibilità di potersi trovare sulla strada un "homelessness" - senza fissa dimora, senzatetto - non sarà poi così complesso pensare quanto sia comune l'aporofobia. In Italia, nel 2011, secondo le statistiche più di 50.000 persone venivano definite homelessness, e i dati attuali non sono migliorati. Comportamenti razzisti verso i poveri, sono attutati in maniera implicita e meccanica nella vita di tutti i giorni dalla media della gente comune. Un utile apporto Duneier e Molotch - sociologi contemporanei - affermano che i senzatetto si situino nell'ultimo gradino della piramide sociale, in quanto categorizzati come gente che irrita fermano in strada chiedendo carità.

Da qui, è possibile desumere che nasca nell'uomo comune la paura verso il povero, perché associato implicitamente all'irritabilità con cui si presenta nella mente di chi lo categorizza, stratificandolo nell'ultimo grado della gerarchia. E' quindi un ciclo di risposta interattivo, in cui la causa è effetto e viceversa.