Da nemmeno quattro giorni l'esercito turco ha avviato una massiccia offensiva contro le formazioni difensive del Rojava (termine che individua la federazione autoproclamata dai curdi siriani, parte di un progetto di più vasta portata) legate a doppio filo al principale partito della minoranza in Siria, il PYD. Si registra la collaborazione dell'esercito libero siriano, apertamente ostile al Presidente Bashar al -Assad, schierato affianco al Presidente e agli USA, garanti dell'operato delle YPG. Questo dato indica la sorpresa dei principali contendenti nel conflitto siriano, paiono assistere dalla distanza alle operazioni condotte da Ankara.

L'avanzata del "paese della mezzaluna" sembra procedere a rilento, sebbene il capo del Governo Yildirim abbia cautamente tranquillizzato gli investitori stranieri sulla brevità dell'operazione, rimarcando inoltre l'importanza della difesa dei confini territoriali del paese "da fazioni terroristiche che potrebbero costituire un costante pericolo per la nostra stabilità".

La reazione dei diversi attori in guerra: timido avallo all'attacco

Il responsabile della sicurezza del Pentagono, l'ex -Generale James Mattis, ha confermato che gli Stati Uniti "erano stati informati dell'attacco", e ha riconosciuto il diritto della Turchia "a difendersi da organizzazioni che riconosce come minaccia alla propria integrità, in conformità con lo statuto delle Nazioni Unite".

Non sollevano obiezioni neanche le controparti principali nel conflitto: se, infatti, non giungono formali obiezioni dall'Iran (e dagli alleati libanesi di Hezbollah), la Russia, in seguito ad un incontro tra il Consiglio di Difesa, presieduto dal Generale Sergey Shoigu, e rappresentanze dei servizi turchi, ha ritirato contingenti e armate dalla zona di Afrin, teatro degli scontri a 120 km circa da Aleppo.

Quali potrebbero essere le conseguenze?

La lotta intestina tra gli alleati americani, fronte eterogeneo che ricomprende paesi storicamente affini come il Regno Unito quanto reciproci nemici -il paese sunnita ha sempre visto con sospetto, e attaccato in più di un'occasione, le popolazioni curde entro e fuori i propri confini- sembrerebbe avvantaggiare il fronte sciita, che vedrebbe così allontanarsi il timore di rivendicazioni autonomiste da parte dei sostenitori del Kurdistan libero, USA e Israele in primis.

D'altro canto, un prolungamento delle operazioni giocherebbe a sfavore di Erdoğan, relegandolo ad un angolo nel tavolo delle trattative all'indomani della conclusione del conflitto anti-ISIS.

In definitiva: se questa mossa si riveli o meno un azzardo del "Sultano" o funzioni, confermando l'abilità dello stesso di saltare da uno schieramento NATO ad uno eurasiatico con disinvoltura ed efficacia, sicuramente al momento avvantaggia questi ultimi, che riconfermano al contrario la solidità di intenti e l'attuale influenza nella regione mediorientale.