É' morto ieri Gillo Dorfles, artista, filosofo e critico d’arte italiano. Le sue condizioni fisiche, ha riferito il nipote, si erano aggravate pesantemente nei giorni precedenti. Nato a Trieste nel 1910, si è laureato in medicina specializzandosi poi in psichiatria, ma parallelamente si è dedicato a studi di estetica e dell’arte in generale. Diviene professore di estetica all’università Milano e fonda il Movimento per l’arte concreta (MAC) nel 1948. Il movimento aveva come obiettivo la promozione dell’arte non figurativa, in una forma di astrattismo che vuole contribuire al mondo esterno senza partire da esso.

Dorfles dedica per la maggior parte della sua vita all’attività pittorica, di critica d’arte e di produzione letteraria. La sua attività di scrittore è dedicata soprattutto a monografie d’artisti come Bosch e Toti Scialoja, studi sull’architettura e saggi. Ha conosciuto un gran numero di artisti e scrittori, come Italo Svevo, Eugenio Montale, Fontana, Pavese, F. Lloyd Wright e Renzo Piano. Nel 2012, la Triennale di Milano gli ha dedicato una mostra: Gillo Dorfles. Kitsch oggi il Kitsch.

L'arte grezza e l'inconscio

Dorfles ha utilizzato i suoi studi in psichiatria e medicina per un’analisi artistica diversa dalla critica d’arte usuale. Riteneva che tutto ciò che a forza di segni e di colori dava spazio alle spinte dell’inconscio fosse di grande interesse per una meno banale comprensione dell'arte stessa e soprattutto dell'uomo.

S'interessò particolarmente all’art brut, cioè l’arte grezza o “arte dei folli’’: la produzione artistica di chi è affetto da malattie psichiche, e dei bambini; e, più in generale, la produzione artistica di tutti gli individui senza alcuna formazione artistica e non “nutriti’’ dalle convezioni estetiche e formali di nessuna epoca.

Il teorico dell’art brut, Jean Dubuffet, pittore e scultore francese del XX secolo, ha sempre rivendicato delle posizioni anticulturali: a suo parere, la cultura impoverisce, soffoca, genera tenebre. L’arte grezza sarebbe quindi una forma d’arte molto più concreta, vera e sincera, proprio perché nata da spinte non propriamente artistiche o estetiche.

La domanda che gli studi di Dorfles e le teorie di Dubuffet ci permettono di formulare riguarda un certo valore morale dell'arte. Un'arte che non nasce intenzionalmente come artistica ed estetica, è meno arte di quella considerata normalmente tale? O lo è di più, poiché nasce profondamente nell'animo umano?

Kandinsky e la vita interiore dell'arte

Il termine art brut definisce l’attività creativa di ‘artisti loro malgrado’, che creano senza intenzioni estetiche, spinti da una pulsione emotiva interiore che si manifesta in una forma di comunicazione immediata e sintetica.

Similmente a Dubuffet, il pittore-filosofo russo Vassily Kandinsky riteneva che l’arte più profondamente arte sia solo quella che ha "una vita interiore totale", e che affina l’animo umano.

L’arte votata alla bella forma, l’art pour l’art, non sarebbe arte, o comunque non poterebbe a compimento il ruolo di quest'ultima: questo perché è spiritualmente vuota. Nel suo libro Lo spirituale nell'arte il pittore descrive il movimento artistico come il motore dell'evoluzione umana.

C'è un'unione strettissima tra il mondo spirituale e l'opera d'arte. Gli artisti sono le figure che si caricano sulla schiena il peso del “carro'' dell'umanità che avanza molto lentamente, ma in modo costante. E più questi artisti, elevati al rango di martiri, vedono in avanti verso il futuro, più sono considerati folli da chi li circonda - perché il livello spirituale delle due figure è profondamente diverso.

Secondo Kandinsky, "L'artista deve avere qualcosa da dire, perché il suo compito non consiste nel saper riprodurre perfettamente le forme, ma nell'adattare la forma al contenuto." Quindi i quadri di un artista, per esempio, come Bouguereau, sebbene considerati vera arte perché esempio perfetto della ricerca della bellezza e della bella forma, non hanno un grande potere di miglioramento dell'anima dell'uomo. Non sarebbero nemmeno belli, in realtà, poiché il bello non deve essere la morale esteriore, ma tutto ciò che anche in una forma impercettibile migliora l'animo umano. La bella forma, se vuota dentro, non è considerabile bella.

La libertà dell'artista

Questo riconoscimento da parte di Kandinsky ha permesso un grande passo avanti nella produzione artistica generale, poiché ha conferito una fondamentale libertà all'artista: quella di utilizzare ogni forma che desidera nelle sue produzioni.

L'artista può quindi distaccarsi dall'imitazione della bella natura, finalmente, e iniziare la produzione anche astratta, senza che si consideri se il disegno entra in contraddizione con l'anatomia, la botanica o tutt'altra scienza. Ma bisogna sottolineare che non si tratta di un processo veloce, che può avvenire in un istante; non è un rendere inutile ogni tecnica, ma il contrario. É un processo anche interiore, lento e complesso. Come diceva Pablo Picasso, "A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino."

Il vuoto che potrebbe lasciare l'arte

Quindi, se ci troviamo d'accordo con la definizione d'arte del pittore russo, l'arte grezza o art brut potrebbe essere arte vera nel momento in cui è interiormente viva - come ogni altra espressione artistica.

É la vita interiore dell'opera d'arte, procedendo dalla necessità interiore dell'artista, a migliorare l'animo umano. Si tratta del compito dell'arte stessa.

Secondo Kandinsky, la pittura e sopratutto l'arte nel suo insieme non è una creazione vana di oggetti belli. Ma è una forza che deve contribuire all'evoluzione e “rendere più fine'' l'animo umano. Se l'arte rinuncia a questo compito, il vuoto causato non potrà essere riempito da nessun altra forza, perché non c'è niente che può rimpiazzare l'arte. Le uniche cose che potrebbero colmare facilmente il vuoto, scrive Kandinsky in un'impertinente nota en bas de page, sono il veleno e la peste.