Tutto è bene quel che finisce bene. Butac.it - "bufale un tanto al chilo" per i detrattori degli acronimi - riapre i battenti, dopo giorni di silenzio e censura. La causa della chiusura del sito, disposta dalla Procura di Bologna, era stata una querela per diffamazione presentata da un medico oncologo. Questi, fermo sostenitore della medicina olistica, si era sentito oltraggiato da un articolo pubblicato sulla testata nel 2015.

Invece di censurare la sola pagina incriminata, il giudice aveva deciso di oscurare l'intero sito, salvo poi optare per il dissequestro, in seguito ad un colloquio con gli avvocati difensori.

La chiusura del sito

Se la libertà d'opinione è intoccabile, altrettanto vale per quella d'espressione: la chiusura di Butac ha rappresentato, per gran parte degli interessati alla vicenda, una sanzione eccessiva per chi fornisce un servizio, che sia gradito o meno. Già, perché, a fianco di articoli che hanno attirato le antipatie dei sostenitori di no-vax e altri rimedi naturali, il sito metteva in guardia i navigatori del web anche da fake news e truffe online. Un'azione socialmente utile, soprattutto in un periodo in cui le notizie false quasi superano quelle reali, condizionano l'opinione pubblica e, data la loro importanza, creano business.

E, mentre i portali che divulgano fake news (tra questi non rientra "Lercio", volutamente ironico e satirico) continuano nel loro operato "acchiappa-like", chi tenta di porre un freno al fenomeno rischia di essere censurato.

Con la scelta del pm di riaprire Butac, eccezion fatta per la pagina oggetto della querela, si è tornati alla proporzionalità della decisione. Fermo restando che la censura del pezzo, se diffamatorio, è sacrosanta.

Le reazioni degli oppositori

Ma c'è stato anche chi, alla notizia del sequestro, aveva gridato alla vittoria: ad esempio, numerosi gruppi free-vax avevano salutato la chiusura del sito come un intervento provvidenziale.

Le accuse si sprecavano: da chi definiva gli articolisti "debunkerwebeti", a chi sosteneva che Butac fosse "pagata dal governo per screditare chi dice la verità".

Insulti di vario genere, tutti accomunati dal profondo desiderio di gettare nel baratro i vari siti di debunking. Qualche voce fuori dal coro, seppur sostenendo le proprie convinzioni, rammentava come una censura di questa portata fosse una palese limitazione alla libertà d'espressione.

Per il giornalismo, le querele sono all'ordine del giorno: tuttavia, un provvedimento di questa portata - con un finale comunque meno negativo di quanto si potesse pensare - non può che fare notizia.