Boyan Slat, 23 anni, è il giovanissimo olandese fondatore dell’organizzazione no-profit ‘The Ocean Cleanup’. Associazione, questa, con il grande obiettivo di ripulire gli oceani dal diluvio di immondizia che gli uomini ci hanno riversato dentro nel corso degli anni.

Un progetto senza dubbio ambizioso, ma che Boyan porta avanti da quando aveva 18 anni. Con un passato sulle spalle da studente di ingegneria aerospaziale, appena maggiorenne getta le basi per quello che è, di fatto, il primo tentativo in vent’anni di smantellare l’isola di spazzatura da 100 milioni di tonnellate di rifiuti al largo delle coste di San Francisco.

Un sogno tecnologico ‘impossibile’ diventato realtà

Il danno che l’umanità ha fatto all’oceano vale infatti ben 79mila anni. Senza la barriera del giovane, sarebbe questo l’ammontare di tempo che gli uomini, con il soccorso delle sole correnti naturali, ci metterebbero a smaltire tutta la plastica che tiene in stallo l’oceano.

Anche per questo Boyan ha deciso di seguire il suo sogno, che tutti consideravano impossibile. Secondo molti infatti, il problema dell’inquinamento da plastica sarebbe un danno ormai irrisolvibile, senza alcuna possibilità di uscita. Un atteggiamento del ‘lavarsi le mani’ da cui il ragazzo si è sempre discostato. Lui non è mai scappato dalle responsabilità che gli umani hanno di questa catastrofe.

Anzi è convinto che sia proprio l’uomo, primo fautore di tutto, ad avere l’obbligo morale di sistemare questa drammatica situazione.

Come si può agire? Semplice, con l’aiuto della tecnologia. La sua macchina pulisci oceani vuole essere il simbolo che la tecnologia non è e dev’essere un demone da temere, bensì un essere che può costituire un fedele aiutante nella lotta al miglioramento del nostro mondo.

La struttura

L’idea di Boyan Slat, che prenderà le mosse da luglio di quest’anno proprio dalla Great Pacific Garbage Patch, è quella di una ‘macchina tecnologica mobile’ a forma di barriera a V, con quaranta tubi di plastica a formare due bracci riempiti d’acqua, così da riuscire a galleggiare. Collegati a questi tubi vi sono delle particolari palette di nylon aventi la funzione di raccogliere i rifiuti superficiali che vanno loro incontro e di spingerli verso una speciale area delimitata adibita al raccoglimento della spazzatura.

In questo modo, con l’eccezione della cattura delle microplastiche che, purtroppo, non rimangono intrappolate nelle spazzole, in cinque anni si dovrebbe riuscire ad eliminare 36mila tonnellate di plastica inquinante. Il riciclo di questa avviene grazie al suo recupero nelle acque oceaniche da parte di navi raccogli-spazzatura, che ogni 6-8 settimane passeranno in rassegna le 60 strutture mobili messe in azione.

Ovviamente, tutto questo marchingegno non costituisce un minimo pericolo per la fauna marina. I pesci infatti riusciranno facilmente a circumnavigare le spazzole, senza finirvi imprigionati.