Nei giorni scorsi l’Arabia Saudita ha fatto tacere le più importanti attiviste che combattevano per togliere il divieto di guida per le donne e il sistema del “guardiano”, a quasi un mese di distanza dalla data fissata dal governo per prendere provvedimenti in tal senso. Da fine giugno, le saudite potranno guidare, ma questi ultimi fatti rimettono in discussione l’effettiva volontà del governo di procedere verso una riforma.

I temi coinvolti, le minacce e l’accusa

La volontà è quella di dar la possibilità anche alle donne di guidare (l’Arabia Saudita è l’unico paese al mondo dove vige tale divieto) e di scardinare il sistema del “guardiano”, secondo cui ad ogni donna viene concesso di viaggiare, lavorare e gestire affari solo mediante un permesso scritto di un familiare di sesso maschile, che sia il padre, il marito o il fratello.

Le tre più importanti attiviste che hanno combattuto in tal senso, Loujan Al Hatloun, Eman al Najaf e Aziza Yousef, già al momento della diffusione della notizia erano state minacciate. Mediante una telefonata, infatti, veniva loro intimato di non parlare con i media stranieri, se non per ascrivere i meriti della riforma al governo. Evidentemente i contatti che avevano mantenuto al di fuori del paese gli sono costati cari.

L’arresto, senza reali motivazioni, nasconde l’accusa di alto tradimento e cospirazione contro il paese, una tra le più gravi in Arabia Saudita, che può portare ad anni di carcere, sebbene fino ad ora essa non trovi conferme ufficiali. Il governo, in tutto ciò, con un comunicato ufficiale, si è solo limitato a dichiarare che sette attiviste sono state arrestate, senza riportare i nomi.

L’Arabia Saudita è realmente convinta di tale cambiamento?

La più alta autorità sunnita, Abdulaziz al-Sheikh, ha recentemente criticato le campagne in favore dell’abolizione del sistema del guardiano definendole “un crimine contro l’Islam e una minaccia esistenziale alla società saudita”, poiché in forte contrasto con “la Shari’a e le indicazioni del profeta”.

Tale arresto, così, è solo uno dei tanti episodi che sembrano manifestare la poca volontà del governo saudita a procedere in tale nuova direzione.

Non è, infatti, la prima volta che in Arabia Saudita una donna venga arrestata per aver combattuto per i propri diritti. Solo due anni fa, una tra le attiviste coinvolte, Loujan al Hatloun, passò più di 70 giorni in detenzione per aver guidato dagli Emirati Arabi fino al confine saudita.

Un segnale forte, ma poco gradito al governo, che preferì arrestarla per evitare che potessero ripetersi episodi di tal genere.

È simile il caso di Eman Al Najaf. L’insegnante e principale scrittrice di Saudiwoman, blog che ritrae le condizioni saudite al mondo esterno, negli ultimi mesi si è trovata costretta a scomparire dai social network a causa di ripetuti avvertimenti da parte delle autorità.