"Sentenza non in mio nome" è stato lo slogan che ha accompagnato il corteo notturno a Cerveteri in protesta alla condanna, a soli 14 anni, di Ciontoli, accusato di omicidio del giovanissimo e vivace Marco Vannini. Il silenzio della notte è stato interrotto per ore dall'inno "Marco ....Marco...Marco", parole che non provenivano semplicemente dalla bocca, bensì dal cuore. Il cuore di tutti quei cittadini, di una piccola comunità urbana a Nord di Roma, che hanno organizzato una fiaccolata notturna con migliaia di partecipanti. In effetti la condanna, considerate le accuse e le dinamiche, è irrisoria e appare quasi una burla se si tiene conto degli eventuali permessi o premi di recupero e reintegrazione sociale.

In pratica la condanna effettiva potrebbe ridursi a soli 6 anni. Tutto ciò ha mandato su tutte le furie non solo i familiari di Marco, bensì tutti i cittadini della comunità di Cerveteri che non hanno perso tempo a scendere in piazza manifestando dissenso a tutto ciò. Quarto grado ha dedicato una pagina esclusiva non solo al caso Vannini, ma alla manifestazione che sta facendo tanto discutere.

I lati oscuri

A Quarto Grado sono stati messi in evidenza una serie di questioni che mettono in discussione la verità giudiziaria che è emersa dalla sentenza. Le dinamiche non chiare e le discordanze tra le dichiarazioni lasciano intendere che non si è giunti alla verità. In pratica oltre al ritardo dei soccorsi nelle immediate fasi dopo lo sparo, l'intero nucleo familiare ha posto in essere una serie di attività finalizzate ad inquinare le prove, senza provvedere ai soccorsi.

Ciò lascia intendere che il vero movente dell'omicidio non sia chiaro. La famiglia di Marco non vuole vendetta, bensì giustizia. Ossia si vuole conoscere il perché di quella morte così assurda. In effetti un uomo che maneggia armi per mestiere non può giustificarsi con l'inconsapevolezza del colpo in canna e tanto meno scarrellare un arma con caricatore inserito senza un evidente allarme in corso.

Insomma la disciplina delle armi impone consapevolezza e autocontrollo in un militare, che svolge mansioni di rilievo all'interno dell'amministrazione. Oltre alle maldestre azioni si deve aggiungere che l'arma del delitto è state perfettamente ripulita dopo lo sparo. Infatti su di essa non è stata rilevata presenza di impronte.

Eppure quelle armi sono state maneggiate non solo dal condannato, bensì dal figlio, che ha provveduto a porle via dalla scena del delitto. Sono queste le raggioni della rabbia manifestata a Cerveteri da una bellissima comunità che con affetto si stringe intorno alla famiglia di Marco, che sono i veri condannati di questa storia.